Verratti: primo goal-capolavoro in nazionale. Pescara sogna con il suo gioello-VIDEO

verratti_goal_nazionalePescara. Un goal capolavoro firmato da Marco Verratti salva in extremis l’Italia dalla sconfitta contro l’Olanda e torna a far sognare i tifosi del gufetto di Manoppello. La prima rete in nazionale dell’ex biancazzurro esalta il momento buio degli sportivi abruzzesi.

Ormai da Pescara e dintorni ci si collega in diretta per seguire la nazionale di Prandelli solo per lui. Marcolino Verratti, da quando il c.t. lo ha investito ufficialmente del titolo di vice Pirlo, è tornato a dare gioie ad una città che calcisticamente ha ben poco da gioire in quest’ultimo periodo. Prima Zeman e tutti i suoi discepoli in diaspora verso lidi più lussuosi, compreso Verratti volato al Paris Saint Germain, poi il declino del Delfino hanno fatto precipitare l’umore dei tifosi dalle stelle della promozione in Serie A alle pene della zona retrocessione.

Andare allo stadio la domenica, o accendere la tv per seguire la squadra di Bergodi, è diventato ormai quasi uno scontato tormento. Una noia amara, così com’era guardare la nazionale, fin quando Cesare Prandelli non ha scelto di convocare il talento pescarese. Vedere ‘Verratti’ stampato sulla maglietta azzurra aveva ridato quel vecchio gusto di affiatarsi alla rappresentativa italiana. E lui, il gufetto, non si era mai risparmiato dal ripagare la fiducia che la sua terra gli dava via etere. Anche vederlo in panchina con la sua faccia sbarbata e paciosa era un vanto, poi i primi scampoli di partita onorati con la grinta di un giovane leone, quindi lo show di ieri sera.

Ancora una volta monsieur Verrattì era rimasto in panchina a “farsi le ossa”, mentre l’undici titolare  era in campo a farsi prendere a sberle dall’Olanda nell’amichevole di Amsterdam. Poi, al 62’ Prandelli toglie De Rossi (l’ultimo avversario del suo maestro Boemo) e lo fa entrare. Marco, stavolta, ha rinunciato al suo tanto amato numero 10, quello che indossava sulle righe bianche e azzurre, così come ha lasciato nell’armadietto accanto a quello di Ibra il 24. È entrato nel rettangolo verde con uno strano numero 2 sulle spalle, ispirato per gioco a Mohamed Kallon, attaccante ex interista della Sierra Leone. Qualcuno avrà sorriso, tanti si sono esaltati sotto le giocate illuminanti del “uaglionetto” appena ventenne, una città intera ha esultato più forte di tutti 30 minuti dopo.

Minuto 92 (numero predestinato). Un’azione che è tutta la sua essenza. Marcolino prende palla e avanza a piccoli passi, leggeri e umili, come è rimasto lui nonostante l’ingresso nell’Olimpo dei top-player europei. Avanza a testa alta, come ha fatto nella precoce carriera che gli ha regalato due promozioni dalla B alla C e l’esordio in Champions League. Spalanca gli occhi grandi da gufo e legge, come pochi sanno fare, la geometria che gli si apre dinnanzi. Primo appoggio sul limite dell’area con Diamanti, e la riprende per chiudere il primo triangolo, il controllo elegante per accentrarsi e il filtrante con l’esterno per Gilardino, un gesto compiuto migliaia di volte per mettere il compagno sulla via della porta. Invece è la sponda per il secondo triangolo: la palla gli torna, lui la dribbla tra due difensori, la protegge con la forza di una montagna nonostante la scarsezza di centimetri, costringe il portiere all’uscita e dà sfogo alla classe innata. Tocco sotto, perfetto nonostante la sportellata avversaria, la parabola si alza, scavalca il portiere e riscende morbida tra le maglie della rete.

La favola che ogni bambino prende a sognare quando infila i primi scarpini da calcio si legge, così come si è realizzata, nella faccia felice di Marcolino che viene sommerso dai compagni di squadra. Nello stesso istante Pescara, Manoppello e mezzo Abruzzo gridano, mentre i telecomandi volano di mano e le sedie si ribaltano sotto i sederi di un popolo che si ritrova a festeggiare manco fosse la finale dei mondiali. È solo un pareggio in amichevole, l’1-1 che chiude una brutta partita di un’Italia brutta come sempre.

Ma per chi può vantarsi di poter capire quella strana inflessione, non guastata dall’ombra della Tour Eiffel, che Verratti sfoggia nelle interviste post-partita e che lo incoronano man of the match, è stata e rimarrà per sempre tutta un’altra partita.

Daniele Galli


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