Salute, un bambino su sei fa la pipì a letto ma i genitori non lo dicono

pipi-a-lettoIl termine “enuresi notturna” descrive la perdita di urina durante il sonno; il bambino fa pipì a letto mentre dorme e generalmente non viene risvegliato dal bagnato.

“Questa incontinenza notturna, quando avviene, pur con una minzione involontaria del tutto normale salvo il luogo e il  tempo considerati inappropriati e socialmente inaccettabili, in un bambino di età superiore ai 5 anni nel quale dovrebbe essere maturato il controllo vescicale anche notturno, deve essere considerato un disturbo da curare, ma è purtroppo molto sottovalutato”, spiega Antonio D’Alessio, Direttore Struttura Dipartimentale di Chirurgia Pediatrica, Azienda Ospedaliera di Legnano, e Professore di Chirurgia Pediatrica, Università di Milano.Per indagare il fenomeno, SiMPeF (Sindacato Medici Pediatri di Famiglia) ha ideato un progetto di ricerca e formazione – in collaborazione con il sito informativo a carattere scientifico www.enuresi.net, realizzato da un gruppo di medici esperti del tema – i cui risultati preliminari saranno presentati al 3° Congresso nazionale SiMPeF, a Milano il 20 e 21 settembre presso l’Auditorium del Palazzo della Regione Lombardia. “L’enuresi è un problema reale”, dice Claudio Frattini, Responsabile Dipartimento formazione SiMPeF e coordinatore scientifico del congresso. “I genitori non ne parlano, un po’ per vergogna, un po’ perché lo ritengono un fatto del tutto normale avendone spesso sperimentato degli episodi da bambini. Il pediatra di famiglia, a sua volta, pensa che se il genitore non ne parla è perché il problema non esiste. Un vero e proprio circolo vizioso. Con questo progetto vogliamo misurare puntualmente le dimensioni del problema, e contribuire a sollecitare pediatri di famiglia e genitori a far emergere l’enuresi notturna e ad affrontarla,” prosegue Frattini.Il progetto si compone di due parti: l’indagine epidemiologica, volta a stabilire la frequenza del disturbo tra bambini e bambine nella fascia d’età 6-8 anni, “quella più critica perché se l’enuresi notturna permane dopo i 5 anni, vuol dire che siamo di fronte a un disturbo vero e proprio e non al fenomeno, presente nei più piccolini, che tende a risolversi spontaneamente”, aggiunge Frattini, e l’organizzazione di corsi di formazione per i pediatri di famiglia. “Gli obiettivi sono, in questo caso, di colmare un gap formativo che deriva in parte dall’università, in cui di enuresi si parla ancora poco, e di migliorare intercettazione, diagnosi e terapia di questo problema”, dice ancora.L’indagine epidemiologica prevede la somministrazione a oltre 4.000 famiglie, in questa prima fase nella sola Lombardia, di un questionario sul comportamento dei propri figli. “L’indagine è partita, contestualmente ai primi corsi di formazione a gennaio 2013 e si concluderà a fine dicembre. Ad oggi abbiamo analizzato quasi 2.200 questionari e ne è emerso un dato estremamente significativo: 338 bambini e bambine tra i 6 e gli 8 anni, pari a oltre il 15% del campione, rappresentativo della popolazione pediatrica italiana, soffrono di enuresi notturna. Ma ciò che impressiona è che solo 26 di loro, cioè 1 su 12 di chi ne avrebbe bisogno, è curato adeguatamente”, spiega Rita Caruso, Pediatra Responsabile dell’Ambulatorio Enuresi, ICP-Ospedale Bassini, Cinisello Balsamo (Milano), condirettore scientifico del progetto con Antonio D’Alessio.
“Eppure le cure esistono, sono efficaci e portano a risoluzione del problema nel 70-75% dei casi, anche se necessitano di attenzione, sono di lunga durata, circa 6 mesi, e devono essere individualizzate in base al singolo caso. E forse questi sono i maggiori ostacoli ad affrontare compiutamente il problema”, aggiunge Caruso.
L’enuresi notturna, infatti, rappresenta un evento complesso nel quale entrano in gioco aspetti ereditari (esiste un chiaro carattere familiare in 2 casi su 3), genetici (colpisce 2 maschietti per ogni femminuccia), meccanismi biochimici e ormonali (deficit parziale dell’ormone antidiuretico o vasopressina o ADH), iperattività della vescica, profondità del sonno e problemi di risveglio. “La cura deve essere quindi modulata a seconda della prevalenza di uno o più fattori sugli altri”, interviene D’Alessio. “La cura può essere comportamentale, con l’adozione di abitudini che possono sembrare  banali e scontate, ma nella pratica molto importanti per  migliorare la funzionalità vescicale e regolare la diuresi, associata a farmaci come la desmopressina, analogo dell’ormone antidiuretico, e gli anticolinergici, per controllare l’iperattività della vescica. Utile è anche l’utilizzo di un sensore posto sulle mutandine che a contatto con le gocce di urina emette un segnale acustico e sveglia il bambino che completa la minzione in bagno. Aiuta l’instaurarsi di un riflesso condizionato che determina, dopo alcune volte, un risveglio autonomo alla comparsa dello stimolo minzionale”, spiega ancora.
“E’ importante impostare un trattamento medico dell’enuresi, che contrariamente a quanto molti possano ancora pensare non ha un’origine psicologica, perché è un disturbo che riduce l’autostima e aumenta il rischio di incontinenza in età adulta, in particolare nelle donne dopo i 50 anni”, conclude Caruso.
“I risultati di questa prima fase del progetto partito in Lombardia sono molto importanti, sia perché fanno emergere un disturbo sommerso, sia perché abbiamo riscontrato grande interesse su questo tema da parte dei nostri associati”, dice Rinaldo Missaglia, Segretario nazionale SiMPeF. “Sarebbe molto interessante estendere questa esperienza – prosegue -, tanto è vero che SiMPeF proporrà l’inserimento dell’indagine sull’enuresi notturna tra quelle contrattualmente previste nelle visite filtro dei bambini a 6 anni e a 10 anni, in occasione del prossimo rinnovo dell’accordo collettivo nazionale della pediatria di famiglia. Un accordo che anche secondo la legge avrebbe dovuto concretizzarsi già nei mesi scorsi  – conclude Missaglia – e che ci auguriamo possa essere firmato entro l’anno in modo da attuare, di concerto con il Ministero della salute e le Regioni, non una riforma delle cure primarie fatta di annunci, come è purtroppo accaduto in tempi non lontani, ma basata sui fatti e che, pur in presenza di una riduzione delle risorse finanziarie disponibili e la conseguente necessità di ottimizzarle, possa tuttavia garantire la qualità e l’appropriatezza delle cure erogate dal pediatra di famiglia, che le famiglie italiane mostrano ancora di apprezzare.”

I CONSIGLI PER RIDURRE IL RISCHIO DI PIPÌ A LETTO
Durante il giorno
Far bere al bambino almeno 1 litro di liquidi tra le 8 e le 18 per regolarizzare la diuresi e migliorare la distensione della vescica Far fare la pipì ogni 2-3 ore per evitare la sovradistensione e  favorire un corretto svuotamento della vescica Se il bambino ha “urgenza” bisogna invitarlo a fare un respiro profondo e poi buttare fuori l’aria contando fino a 10 prima di fare pipì, in modo da permettere un corretto rilasciamento del muscolo detrusore della vescica Controllare che il bambino si scarichi regolarmente e non coesista stipsi 

 

Alla sera
A cena, limitare i cibi ricchi di calcio (latte e derivati) o troppo salati per ridurre l’ipercalciuria e/o l’ipenatruria (l’aumento di eliminazione di calcio e sodio con le urine) che determinano un aumento di  produzione di urina durante la notte Scegliere acque minerali a basso contenuto di calcio (< 25 mg/L) per evitare l’ipercalciuria e quindi limitare la produzione di urina durante la notte Far fare pipì sempre prima di andare a letto Se i genitori vanno a letto molto più tardi del bambino, possono fargli fare una seconda pipì in modo di “fare spazio” all’urina prodotta durante la notte

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