Terremoto Molise, dal 14 agosto oltre 110 scosse

Sono stati oltre 110 i terremoti registrati in Molise a partire dal 14 agosto e, di questi, oltre 80 sono avvenuti dopo la scossa più forte, quella di magnitudo 5.1 delle 20.19 del 16 agosto: è quanto indicano i dati rilevati finora dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv).

 

“Nel frattempo si lavora per installare nella zona dell’epicentro quattro stazioni mobili, la cui installazione è prevista in serata”, ha detto all’ANSA il sismologo Alessandro Amato, dell’Ingv.

La sequenza sismica in Molise è cominciata il 14 agosto con tre terremoti di intensità modesta, seguiti alle 23.48 con la scossa di 4.6; poi sono stati registrati altri piccoli terremoti, seguiti da quello di magnitudo 5.1 del 16 agosto. Quest’ultimo è stato seguito da almeno altre 80 scosse, la più forte delle quali è stata finora quella di magnitudo 4.4 avvenuta alle 22.22 del 16 agosto. “Alla luce degli elementi raccolti finora possiamo dire che il ‘parente più stretto’ di questo terremoto è stato quello avvenuto nel novembre 2002 a San Giuliano di Puglia”, ha osservato Amato. “Anche in quel caso c’è stata una sequenza in cui la scossa principale è stata seguita da una di intensità maggiore”. Simile anche il meccanismo dei due terremoti, di tipo trascorrente, nel quale cioè la crosta terrestre si muove in modo orizzontale. Queste similitudini non sono comunque sufficienti a dare una descrizione completa della sequenza in atto perché, ha spiegato Amato, “si tratta di una zona poco nota” e nella quale la rete simica nazionale è stata potenziata solo a partire dal 2001-2002. Questo è accaduto perché, contrariamente a quanto avviene nell’Appennino, in quest’area non ci sono stati terremoti storici importanti. Per questo è importante saperne di più ed entro oggi è prevista l’installazione di quattro reti sismiche mobili. I nuovi strumenti aiuteranno, per esempio, a calcolare meglio la profondità alla quale è avvenuto il terremoti, al momento stimata intorno a dieci chilometri.

La sequenza sismica in Molise è cominciata il 14 agosto con tre terremoti di intensità modesta, seguiti alle 23.48 con la scossa di 4.6; poi sono stati registrati altri piccoli terremoti, seguiti da quello di magnitudo 5.1 del 16 agosto. Quest’ultimo è stato seguito da almeno altre 80 scosse, la più forte delle quali è stata finora quella di magnitudo 4.4 avvenuta alle 22.22 del 16 agosto. “Alla luce degli elementi raccolti finora possiamo dire che il ‘parente più stretto’ di questo terremoto è stato quello avvenuto nel novembre 2002 a San Giuliano di Puglia”, ha osservato Amato. “Anche in quel caso c’è stata una sequenza in cui la scossa principale è stata seguita da una di intensità maggiore”. Simile anche il meccanismo dei due terremoti, di tipo trascorrente, nel quale cioè la crosta terrestre si muove in modo orizzontale. Queste similitudini non sono comunque sufficienti a dare una descrizione completa della sequenza in atto perché, ha spiegato Amato, “si tratta di una zona poco nota” e nella quale la rete simica nazionale è stata potenziata solo a partire dal 2001-2002. Questo è accaduto perché, contrariamente a quanto avviene nell’Appennino, in quest’area non ci sono stati terremoti storici importanti. Per questo è importante saperne di più ed entro oggi è prevista l’installazione di quattro reti sismiche mobili. I nuovi strumenti aiuteranno, per esempio, a calcolare meglio la profondità alla quale è avvenuto il terremoti, al momento stimata intorno a dieci chilometri.

Il meccanismo della sequenza sismica in corso in Molise suggerisce che i terremoti possano essersi attivati all’interno della placca Adriatica, ossia nella struttura della crosta terrestre che arriva dall’Appennino alle Alpi, fino ai Balcani. E’ un’altra delle ipotesi suggerite dalle prime analisi da parte degli esperti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). “La placca Adriatica si trova al di sotto di alcuni chilometri di sedimenti – ha detto il sismologo Alessandro Amato – ed è un blocco rigido che ha le sue linee di debolezza: ora dobbiamo capire perché si rompe in alcuni punti, in che modo e a quale velocità”. Contrariamente alle faglie dell’Appennino, che sono visibili, “quelle della placca Adriatica sono troppo profonde per essere osservate. Si tratta probabilmente di faglie minori, della lunghezza di tre-quattro chilometri, ma che si vedono solo nel momento in cui si attivano”.

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