Taglio delle alberate stradali. Critiche dal WWF: strage senza senso

Il taglio dei filari di pini che da decenni segnavano la strada della Piana delle Cinque Miglia non è un caso isolato. In questi giorni l’ANAS e altri enti proprietari/gestori di arterie stradali stanno procedendo ad abbattere alberate stradali poste lungo le arterie di loro competenza con il presupposto obiettivo di migliorare la sicurezza degli automobilisti.

 

Questi interventi hanno un’origine lontana. Si basano sull’interpretazione letterale del codice della strada (D.lgs 285/1992, art. 16) e del relativo regolamento di esecuzione e di attuazione (D.P.R. 495/1992, art. 26), che vietano, sulle strade extraurbane, di piantare alberi sulle fasce di rispetto per una distanza di 6 metri dal ciglio stradale. In effetti la norma vieta i nuovi impianti, non dicendo nulla su quelli esemplari esistenti, ma dalla sua approvazione è stato un susseguirsi di tagli massivi indiscriminati che stanno privando i nostri territori di importanti presidi paesaggistici e ambientali, quali le alberate stradali.

 

Le alberate stradali sono parte del paesaggio italiano tanto che già nel 1966 vi fu un intervento dell’allora Ministero dei Lavori Pubblici che, con la circolare n. 8321 dell’11 agosto 1966 (“Alberature stradali. Istruzioni per la salvaguardia del patrimonio arboreo in rapporto alla sicurezza della circolazione stradale”), introdusse il concetto di “paesaggio stradale” per salvaguardare dalla furia anti-albero il patrimonio storico-paesaggistico-ambientale costituito dai filari.

Purtroppo, anche a seguito di alcune sentenze della Corte di Cassazione che hanno condannato i responsabili di tratti stradali dove sono avvenuti incidenti automobilistici, i tagli hanno ripreso vigore. In realtà la Cassazione ha anche indicato la necessità di installare apposite protezioni (guard rail e/o barriere), ma gli enti proprietari/gestori di strade, ANAS in testa, preferiscono eliminare totalmente le alberature per mettersi al riparo da ogni responsabilità. E così alberi secolari, filari storici, interi ecosistemi vengono cancellati dalle motoseghe in nome di una presunta maggior sicurezza, senza che nessuno valuti complessivamente il valore storico, naturalistico e paesaggistico di quanto si sta distruggendo.

 

Ma se si interviene sugli alberi, perché non si interviene anche in tutti i casi in cui le strade presentano altri ostacoli nella fascia di rispetto dei sei metri? In nome della sicurezza andrebbe abbattuto tutto ciò che potrebbe costituire un pericolo per l’automobilista che dovesse uscire fuori dalla carreggiata: via quindi cartelloni, recinzioni, case, tralicci, ecc., magari posizionando balle di fieno o barriere di gomme, analogamente a quanto si fa per i circuiti di formula 1 o i percorsi di rally, trasformando così le nostre strade in veri e propri percorsi dedicati solo alle automobili che potranno sfrecciare senza problemi…

 

Provocazioni a parte sarebbe il caso che gli organismi competenti (Ministero delle Infrastrutture dei Trasporti, Regione, Province, Comuni, Soprintendenza, ANAS, ecc.) elaborassero una linea comune che possa porre un freno a una furia distruttrice che non risolve i problemi della sicurezza stradale, ma acuisce invece quelli legati al rumore, all’inquinamento, all’impoverimento della biodiversità, alla banalizzazione del paesaggio, ecc. Come WWF ribadiamo il nostro invito, già lanciato in occasione del taglio dei filari di pino lungo la strada della Piana delle Cinque Miglia, per un confronto generale sul tema che coinvolga anche l’Ordine regionale degli Agronomi e l’Ordine regionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori.

 

 

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