Metano, NGO statunitense in Abruzzo per monitorare le perdite dagli impianti VIDEO

Le perdite più o meno occulte di metano dagli impianti rischiano di vanificare gli sforzi per combattere i cambiamenti climatici in quanto questo gas, immesso direttamente in atmosfera, è 84 volte più potente della CO2 su una scala temporale di venti anni per quanto riguarda l’impatto sul clima.

 

In Abruzzo ci sono decine di impianti che potrebbero essere una fonte rilevante di emissioni in atmosfera. Numerose ricerche pubblicate sulle migliori riviste scientifiche internazionali stanno dimostrando che le perdite sono numerose e corpose, tra il 2,5 e il 10% a seconda del paese, molto più di quelle dichiarate dalle aziende: praticamente il metano deve essere considerato allo stesso livello di carbone e petrolio per la pericolosità dell’impatto sul clima. Insomma, il metano “verde” è una fake dei petrolieri, smentita appunto dagli scienziati.

 

Non a caso l’IPCC nell’ultimo rapporto ha chiesto un taglio radicale di queste emissioni. I ministeri italiani, da quello della Transizione Ecologica a quello dello Sviluppo Economico e le aziende coinvolte, nonostante le tante richieste arrivate in questi anni, sono silenti sul tema. Si continuano ad approvare pozzi, gasdotti e centrali, come l’Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata nei giorni scorsi per la centrale Snam di Sulmona, senza neanche un dato sulle emissioni dirette di metano in atmosfera da questi impianti, alla faccia della scienza e del clima.

 

L’altro-Ieri gli attivisti del Coord. No Hub del Gas hanno accompagnato sul campo presso alcuni infrastrutture, in particolare lo stoccaggio Stogit del Fiume Treste, uno degli impianti di stoccaggio di metano più grandi d’Europa, e alcuni gasdotti SNAM, due ricercatori di Clean Air Task Force e Gastivists, NGO internazionali impegnati nella ricerca delle perdite, ovviamente dall’esterno dei siti. Per questo utilizza una speciale tele-termocamera. Le immagini raccolte saranno analizzate e divulgate nelle prossime settimane. È però veramente sconfortante che debbano essere le organizzazioni no-profit a garantire il monitoraggio, seppur parziale e riduttivo (in quanto svolto dall’esterno e a distanza) di questo gravissimo problema. Considerata l’esperienza che abbiamo fatto l’altro-ieri, chissà cosa si vedrebbe potendo entrare negli impianti!

 

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