Legge garage, le decisioni della Corte Costituzionale. Bocciatura per il rischio idrogeologico

La Corte Costituzionale con la sentenza 245/2018 ha salvato la famigerata “legge Garage” sulla questione della Valutazione Ambientale Strategica ma l’ha bocciata sonoramente sul rischio idrogeologico.

 

Inoltre la Corte ha anche censurato la Regione su una norma “spuria” sulla riserva della Pineta Dannunziana introdotta nella stessa legge, anch’essa da noi pesantemente criticata all’epoca.

 

“Avevamo da subito evidenziato che la legge avrebbe permesso di far vivere persone in locali al di sotto del piano di campagna”, si legge in una nota del Forum H2O “anche in aree classificate a rischio idrogeologico, visto che la norma escludeva dall’applicazione solo le aree con rischio elevato”.

 

Scrive infatti la Corte che il Governo aveva impugnato la legge anche perché “la norma escluderebbe dall’ambito di applicazione della legge regionale solo «le aree soggette a vincoli di inedificabilità assoluta», ovvero quelle «ad elevato rischio idrogeologico», mentre gli interventi previsti dovrebbero essere vietati in tutte le aree a rischio moderato (R1), medio (R2) e molto elevato (R4).”

 

Sul punto, quindi, la Corte ha bocciato l’articolo nella sua formulazione che escludeva alcune tipologie di aree di rischio, ampliando i vincoli (la Corte di fatto riformula l’articolo; su questo aspetto è importante che i comuni abbiano contezza di questo).

 

“A nostro avviso”, si legge ancora, “purtroppo, non si risolve completamente la questione dei rischi connessi – ricordiamo che ormai con gli eventi piovosi così intensi la maggior parte dei morti avviene proprio nei locali interrati – perché queste aree sono pianificate in relazione al rischio esondazione dei fiumi ma non ad altri tipi di allagamento improvviso.

 

Ad esempio, l’area dello stadio di Pescara che va sott’acqua ad ogni pioggia intensa, non è vincolata in tal senso! Chi farebbe vivere le persone nei vani interrati in zone come queste, che sono comuni in molte zone d’Abruzzo?

 

Il nuovo Consiglio regionale e i comuni dovranno riflettere attentamente su queste criticità.

 

In generale, tutti i dati ufficiali ci dicono che il patrimonio edilizio esistente è del tutto sovra-dimensionato e sono tantissimi i vani non abitati. Pertanto far vivere le persone sotto il piano di campagna non ci pare in primis un dato di civiltà, oltre che una questione di rischio concreto.

 

Invece sulla Valutazione Ambientale Strategica la Corte ha ritenuto che il solo cambio di destinazione d’uso non incide sull’ambiente perché non comporta un consumo di suolo. Ovviamente rispettiamo la sentenza ma possiamo dire che non ci convince questa interpretazione di “ambiente” in quanto al maggiore carico urbanistico (alla fine, un numero maggiore di persone che vive in una certa area) corrisponde una diversa mobilità, la necessità di servizi come la depurazione, l’uso di energia, l’uso di acqua potabile. Tutte questioni che rientrano ampiamente nel concetto di ambiente secondo la direttiva Comunitaria sulla VAS. In questa decisione, probabilmente, una difesa più incisiva dal punto di vista tecnico da parte del Governo avrebbe aiutato”.

 

Infine la Corte ha bocciato anche una norma spuria introdotta nella legge “garage” sulla Riserva della Pineta dannunziana, che faceva prevalere il piano spiaggia comunale sulle norme di tutela della Riserva. In questo caso la bocciatura è stata su tutta la linea e la Corte ha affermato che le norme di tutela di un’area protetta sono sovraordinate.

 

LA SENTENZA

 

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, della legge della Regione Abruzzo 1° agosto 2017, n. 40 (Disposizioni per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Destinazioni d’uso e contenimento dell’uso del suolo, modifiche alla legge regionale n. 96/2000 ed ulteriori disposizioni), nella parte in cui, dopo la parola «idrogeologico», non prevede le parole «e, in ogni caso, ove in contrasto con le previsioni dei piani di bacino»;

 

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017;

 

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 4, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017, promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

 

Bocciatura anche per la legge sul procedimento amministrativo

La Corte Costituzionale con la sentenza 246/2018 ha bocciato duramente diversi punti della Legge la Regione Abruzzo 4 settembre 2017, n. 51 (Impresa Abruzzo competitività – sviluppo – territorio) rilevando il mancato rispetto di diverse norme poste a tutela dell’ambiente.

Oltre a diversi aspetti problematici riguardanti l’aspetto più strettamente procedurale la Corte ha bocciato la regione sulle seguenti questioni ambientali in quanto, sulle autorizzazioni per le attività produttive:
1)avrebbe accorciato in maniera illegittima i termini temporali per le espressione dei pareri per le amministrazioni che si occupano della «tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini»;
2)avrebbe ristretto oltremodo la possibilità di rigetto di un intervento ai “soli casi di motivata impossibilità ad adeguare il progetto presentato per la presenza di vizi o carenze tecniche insanabili” quando nei casi di tutela dei “beni culturali e paesaggistici” deve essere invece assicurata la possibilità per le autorità preposte di opporre un diniego o di esprimere un parere negativo non condizionato e di proporre diverse localizzazioni; in sostanza, cioè, di opporre un diniego per ragioni “localizzative” e non solo un diniego “propositivo”. La Corte ha anche ricordato che è possibile prevedere divieti “assoluti” per tutelare un bene come il paesaggio;
3)avrebbe derogato ad importanti norme sull’Autorizzazione Integrata Ambientale prevedendo che «In ogni caso, le irregolarità riscontrate in sede di verifica derivanti dall’inosservanza dei requisiti minimi pubblicati ai sensi dell’articolo 6, comma 7, non possono dare luogo a provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività senza che prima sia stato concesso un termine congruo per la regolarizzazione non inferiore a centottanta giorni, salvo non sussistano irregolarità tali da determinare gravi pericoli per la popolazione, l’ambiente o l’ordine pubblico. Le pubbliche amministrazioni, all’esito di procedimenti di verifica, non possono richiedere adempimenti ulteriori né irrogare sanzioni che non riguardino esclusivamente il rispetto dei requisiti minimi». Sul punto la Corte ha dato ragione allo Stato che aveva sottolineato come la norma contrastava con quella statale sull’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) che prevede una serie di misure, a seconda della gravità delle infrazioni: diffida, diffida e contestuale sospensione dell’attività, revoca dell’autorizzazione e chiusura dell’installazione, chiusura dell’installazione. La Corte ha quindi bocciato il legislatore regionale che aveva limitato “l’adozione di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività ai soli casi di «irregolarità tali da determinare gravi pericoli per la popolazione, l’ambiente o l’ordine pubblico», che “avrebbe palesemente vanificato il sistema di tutela degli interessi ambientali, apprestato dall’art. 29-decies, comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2006 con conseguente violazione del parametro costituzionale indicato.”
4)avrebbe di fatto scorporato le procedure ambientali V.I.A., V.Inc.A. ecc. dalla conferenza dei servizi.

Soprattutto sui primi tre punti come Forum esprimiamo soddisfazione per la decisione della Corte su una legge, fortemente voluta dal Presidente D’Alfonso, che avrebbe allentato di molto la tutela di diritti fondamentali sia nella fase autorizzativa che in quella dei controlli.

 

 

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