Garanzie, debito pubblico e crisi economica all’ombra di Federico Caffè. L’intervento

A nessuno sfugge che le garanzie prestate dallo Stato per l’accesso al credito non sono contributi, sono ulteriori debiti delle imprese. Lo stesso vale per le politiche di garanzia del cura-Abruzzo ( al netto degli 80 mln di euro da ricalcolo fondi strutturali che, se rapportati alle attività in essere in Abruzzo, sono di relativo impatto).

 

È anche vero che se il Paese (vale anche per la Regione) non ha disponibilità, non può  che prestare solo garanzie. Ma è altrettanto vero (cfr Bankitalia) che con 1 mld di euro messo a copertura degli interventi della Sace spa (più 1 mld di euro preesistente già in dotazione della stessa) non si può  coprire un rischio per prestiti alle imprese di 200 mld di euro, ancor meno se si  tende a garantirne il doppio.

La  svolta ci sarà solo se arriverà denaro vero. Non potendo più “battere moneta” ( pensate un po’, Romano Prodi ha di recente dichiarato che male non sarebbe se venisse fatto nel perimetro dell’Unione Europea, ma questa è altra cosa: “Soldi dall’elicottero”, per dirla alla Milton Friedman) si  deve ricorrere al debito pubblico. Il Paese si deve indebitare, quindi.  Non le imprese e i professionisti.

Il debito sarà del Paese per l’economia e non più dell’economia per “garantire” il Paese e la sua burocrazia.

È arrivato il momento di accorciare la distanza tra etica ed economia, lo Stato che tende al benessere è solo quello che governa l’economia.

“Ciò che appare utopistico oggi molto probabilmente non lo sarà più domani” (Federico Caffè).

Questo si può fare con Eurobond per la ricostruzione e con Fondo salva Stati (MES) senza la vigilanza della TROIKA (Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale), quindi senza austerità, senza controlli sulla tenuta dei conti pubblici (clausola di salvaguardia generale) o all’implementazione di riforme strutturali. Il MES (36 mld di euro) può essere destinato a tutto ciò che è sanità (investimenti, dispositivi di sicurezza, efficace campagna tamponi e test sierologici).

Il MES è debito pubblico (lo sarebbe qualsiasi altra alternativa di reperimento di fondi oggi possibile in Italia) con il vantaggio del tasso di interesse (Il MES si finanzia a dieci anni allo 0 %, noi viaggiamo intorno al 2%) e del rilevante importo disponibile immediatamente (collocare 36 mld di euro – 2% del nostro  Pil- di BTP Italia necessiterebbe di tempi lunghi).

Con gli Eurobond ci sarebbe un’iniezione di miliardi di euro finalizzata alla ricostruzione senza escludere, nell’immediato,  l’alleggerimento del cuneo fiscale  (quindi incentivi all’occupazione) e la riduzione  dell’IVA (quindi spingere i consumi).

Ricostruire significa progettare e rendere percorribile la Fase 2 dell’economia: la riapertura nonostante il Coronavirus.

In questo caso, nel rispetto delle norme in materia di aiuti di Stato e quindi con obbligo di notifica alla UE delle azioni poste in essere (tranne che per il regime “de minimis” immediatamente attuabile con prospettiva di aumento della soglia possibile, oggi fissata a 200 mila euro) potrebbe attuarsi quella politica di contributi a Fondo perduto (sovvenzioni dirette) per compensare le imprese delle perdite da sospensione dell’attività e di quelle che, a seguito della prossima ripartenza, saranno determinate dal calo di produttività per effetto dell’indispensabile distanziamento sociale.

 

Questo comporterebbe, per la prima volta dalle “nostre parti”, un debito pubblico PRODUTTIVO  (non generato come nel passato per finanziare i costi della politica a tutto tondo) e getterebbe le basi per una stagione di riforme che abbatta la burocrazia, colpisca le rendite parassitarie , renda il fisco più equo abbassando la pressione fiscale e avvii le infrastrutture fondamentali per la competitività (compreso il superamento del divario digitale e delle pastoie del Codice degli appalti pubblici).

Il ricorso al sistema del credito garantito dallo Stato (o dalle Regioni) ben si comprende sarebbe solo per le fisiologiche azioni di gestione e non il pretesto per ipotizzare l’uscita dalla crisi.

Con gli Eurobond si raggiungerebbe la mutualizzazione dei debiti futuri ( sono titoli garantiti pro quota dagli Stati dell’UE) e si sfrutterebbe un importante effetto leva (garantisco 1 e prendo 4), possibile solo perché tra i garanti ci sono anche quegli Stati che saranno anche odiosi, ma hanno ben altra credibilità.

Per il MES  e per gli Eurobond c’è l’esigenza di una votazione unanime degli Stati membri.

L’alternativa è lavorare sul “quantitative easing” della Banca Centrale Europea che andrebbe (il consiglio della BCE decide a maggioranza, non all’unanimità)  a sottoscrivere  nostri titoli di debito pubblico (possibilmente a 30 anni) ma con tassi alti e dimensioni finanziarie non paragonabili a quanto possibile con MES ed Eurobond.

L’ipotesi di finanziare con il patrimonio immobiliare dello Stato, fuori dal debito pubblico e attingendo dal risparmio privato, resta residuale e meramente di scuola.

Concludendo, per raggiungere questi obiettivi, di interesse generale e collettivo, ci vorrebbe anche (o soprattutto) una classe dirigente all’altezza della situazione che parli e spieghi ai cittadini fatti e percorsi, in modo da toccare la loro mente e il loro cuore e non la pancia che è sempre foriera di errori.

È giunto il tempo in cui bisogna coinvolgere tutta l’intelligenza di governo e amministrativa che possediamo.

Tutti questi elementi, con modestia del mio avviso, sono indispensabili, non solo per superare questo momento, ma anche per dare luce al nostro futuro.

Poi, naturalmente, ognuno di noi dovrà fare la sua parte spogliandosi dell’utilità di prossimità e indossando l’abito del bene comune.

Solo così torneremo nuovamente ad essere, per dirla alla Dante Alighieri, “Il bel paese dove il sì suona”».

Buona salute a tutti, fisica ed economica.

 

Americo Di Benedetto (consigliere regionale)

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