Idrocarburi: il Governo riscrive in parte (ma non corregge) l’art. 38 dello Sblocca Italia

Il maximendamento presentato dal Governo alla legge di stabilità 2015 contiene disposizioni volte a semplificare la realizzazione delle infrastrutture energetiche strategiche e a disciplinare il piano delle aree ove consentire la ricerca e l’estrazione di gas e petrolio.

L’obiettivo dell’Esecutivo è, per un verso, quello di agevolare l’esecuzione di alcuni progetti (come “Tempa Rossa”) e, per altro verso, quello di riscrivere, seppure in parte, l’art. 38 del decreto Sblocca Italia, rispetto al quale si è manifestata la più ferma contrarietà da parte di cittadini (specie lucani), associazioni ambientaliste ed enti territoriali. Nonostante la parziale riscrittura effettuata dal Governo, i dubbi di legittimità, però, restano. L’art. 38, nella sua nuova versione, affida al Ministro dello sviluppo economico il compito di redigere il piano (nazionale) delle aree ove consentire la ricerca e l’estrazione di idrocarburi. Fintantoché il piano non sia elaborato, i titoli abilitativi continuano, però, ad essere rilasciati «sulla base delle norme vigenti prima della data di entrata in vigore della presente disposizione». Con ciò la ratio della previsione normativa – quella di razionalizzare attraverso un piano le attività concernenti gli idrocarburi – potrebbe essere vanificata, non contemplando la modifica introdotta dal Governo alcun termine per la predisposizione del piano. Esso, pertanto, potrebbe anche non arrivare mai.

 

 

 

In ordine all’elaborazione del piano, l’emendamento del Governo prevede che il Ministro dello sviluppo economico senta il Ministro dell’ambiente e ottenga previamente l’intesa con la Conferenza unificata (dove siedono gli enti locali e le regioni). Il problema è che nella procedura da seguire l’art. 38 rinvia alla legge n. 239 del 2004: l’intesa deve essere espressa entro 150 giorni dalla richiesta. Qualora sia scaduto inutilmente tale termine, il Ministero dello sviluppo economico invita la Conferenza a provvedere entro un termine non superiore a 30 giorni. In caso di ulteriore inerzia, lo stesso Ministero rimette gli atti alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che, entro 60 giorni successivi, provvede in merito. Questa soluzione appare assai discutibile se non altro perché la procedura da seguire risulta pressoché identica a quella che era prevista dall’art. 14-quater della legge n. 241 del 1990, prima che la Corte costituzionale ne dichiarasse l’illegittimità. Nella sentenza n. 179 del 2012, infatti, la Corte ha sostenuto che lo Stato sia tenuto ad aprire una trattativa con gli enti territoriali e a reiterarla qualora la stessa non vada a buon fine: trattativa che non potrebbe realmente ritenersi tale a fronte di un drastico termine fissato dalla legge. Scrive, infatti, il giudice costituzionale: «non solo il termine è così esiguo da rendere oltremodo complesso e difficoltoso lo svolgimento di una qualsivoglia trattativa, ma dal suo inutile decorso si fa automaticamente discendere l’attribuzione al Governo del potere di deliberare, senza che siano previste le necessarie idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze».

 

 

 

D’altra parte, approvato il piano delle aree, la stessa procedura troverebbe applicazione anche ai singoli progetti petroliferi, per i quali l’art. 38 dello Sblocca Italia prescrive che sia acquisita l’intesa con la Regione interessata. Anche in questo caso, lo Stato – ricorrendo alla procedura della legge n. 239 del 2004 – avrebbe largo gioco nel superare l’inerzia della Regione, a nulla potendo importare che dopo un primo tentativo di raggiungere l’intesa la Presidenza del Consiglio eserciti il potere sostitutivo con la partecipazione della Regione interessata: tale soluzione, come ha chiarito ancora la Corte costituzionale, «non può essere considerata valida sostituzione dell’intesa, giacché trasferisce nell’ambito interno di un organo costituzionale dello Stato un confronto tra Stato e Regione, che deve necessariamente avvenire all’esterno, in sede di trattative ed accordi, rispetto ai quali le parti siano poste su un piano di parità» (v. anche sentenza n. 165 del 2011).

 

 

Certo, la legge del 2004 fa testuale riferimento solo al caso della “mancata espressione” e non anche al caso della “mancata definizione” dell’intesa, posto che la “mancata definizione” dell’intesa è dalla legge riferita unicamente al caso delle infrastrutture lineari energetiche. La domanda da porsi sarebbe allora la seguente: cosa accadrebbe qualora la regione fosse non già inerte, ma si esprimesse seppur negativamente? Sarebbe applicabile, in questo caso, la procedura per il rilascio dell’intesa prevista dalla legge n. 241 del 1990, nella versione più garantista introdotta dopo la sentenza di illegittimità della Corte costituzionale? La risposta è: non è affatto pacifico che si applichi tale procedura, in quanto la disciplina del dissenso previsto dalla legge del 1990 dovrebbe trovare applicazione solo alle ipotesi testualmente considerate, e cioè ai casi nei quali il dissenso sia espresso da “un’amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità”.

 

 

A tutto ciò si aggiunga, infine, che il problema parrebbe ulteriormente complicato anche dai tempi previsti per l’adozione del “titolo concessorio unico” e per il rilascio dell’intesa da parte della Regione. L’art. 38 stabilisce, infatti, che il procedimento debba concludersi entro 180 giorni dal suo avvio. L’intesa della Regione, invece, deve essere rilasciata entro 150 giorni dalla richiesta avanzata dal Ministero dello sviluppo economico. La domanda è: a partire da quale momento decorrono i 150 giorni? Le ipotesi sono due: a) la Regione è tenuta a rilasciare l’intesa dopo la conclusione del procedimento (180 giorni al massimo), ma prima dell’adozione del “titolo concessorio unico”; 2) la Regione è tenuta a rilasciare l’intesa prima che sia concluso il procedimento (180 giorni al massimo); dopodiché il Ministero adotterà il “titolo concessorio unico”. La prima ipotesi sarebbe legittima; la seconda no, in quanto finirebbe per svuotare di contenuto la garanzia prevista in favore della Regione. Purtroppo almeno due considerazioni lasciano pensare che il procedimento che verrà seguito sarà proprio il secondo, e cioè quello sul quale si nutrono i dubbi di legittimità. Anzitutto, perché la prima ipotesi comporterebbe tempi più lunghi e, quindi, si porrebbe in contraddizione con lo spirito dello Sblocca Italia, che si propone appunto di velocizzare i procedimenti amministrativi; in secondo luogo, perché in via di prassi funziona esattamente così: il Ministero avvia il procedimento e richiede contestualmente il rilascio dell’intesa regionale. In questo modo, la Regione si trova costretta a rilasciare l’intesa prima che il procedimento sia concluso e, quindi, prima ancora che sia in condizione di conoscere tutti gli atti del procedimento.

 

 

 

Per questo, al di là di ogni altra considerazione che si volesse svolgere in proposito, deve concludersi che, sul piano della legittimità, le modifiche apportate all’art. 38 dello Sblocca Italia sono ancora lontane dal risolvere la sostanza del problema.

(Enzo Di Salvatore)

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