Lanfranco Venturoni: “Io mi dimetto”

assessore_venturoniSe oggi non sappiamo attendere più è perché siamo a corto di speranza“. Cita don Tonino Bello, Lanfranco Venturoni che affida le sue decisioni ad una lettera inviata al presidente Gianni Chiodi. “Mi dimetto” scrive “perché io oggi sono l’eletto che non può svolgere degnamente il ruolo al quale i suoi elettori l’hanno chiamato, perché costretto a restare confinato negli spazi di un orizzonte minimo. So di non aver mai messo la mia Regione, il mio presidente, il mio partito, i miei elettori e soprattutto il cognome della mia famiglia nelle condizioni di dover soffrire per una mia azione. Se oggi io non so attendere più é perché sono a corto di pazienza”.

“Mi spazientisce il senso profondo dell’ingiustizia che sto patendo” continua “il linciaggio morale che prescinde da ogni pur minima verifica, il gioco al massacro di chi deve, sempre e comunque, trovare il mostro da sbattere in prima pagina, il malinteso giustizialismo servile di chi spera di lucrare un vantaggio, politico e personale, dall’altrui disgrazia”.

E chiarisce: “non è una resa, ma è la necessità di fare chiarezza, di offrire al mio presidente, al mio partito, alla mia gente, la conferma del mio considerarmi da sempre al servizio. Logica vorrebbe che io restassi in silenzio, ad aspettare il correre degli eventi, a continuare a preparare i dettagli di una difesa della quale continuo a non sentirmi obbligato, perché io so di non avere mai commesso un atto, non uno, per il quale io debba difendermi. Sento in queste ore la sofferenza attorno a me. Perché io, oggi, sono il cattivo, l’assessore regionale salito agli onori delle cronache nazionali per aver esposto la sua Regione a un nuovo scandalo giudiziario, contribuendo a trasmettere dell’Abruzzo e di noi abruzzesi, un’immagine che non ci appartiene e che ci mortifica ingiustamente. Voi sapete quanto, nella mia storia politica, le poltrone siano state per me strumenti del fare, mai posizioni dell’apparire; così come sapete, fin troppo bene, con quanta facilità io abbia saputo imboccare la porta, quando sentivo venir meno la possibilità di agire per il Bene Comune. Così, arrivo allo scopo vero di queste mie righe, che è uno scopo che pretende l’ufficialità della parola scritta e la serietà degli atti certi, in un momento nel quale tutti sembrano impegnati a confondere la politica in un magma indefinito: io mi dimetto”.

Secca, lapidaria la conclusione dell’ex assessore alla Sanità, coinvolto nell’inchiesta sullo smaltimento dei rifiuti, partita dalla Procura di Pescara e al momento sottoposto all’obbligo di dimora nel comune di Teramo. Le sue deleghe passeranno ora nelle mani del presidente della Regione Gianni Chiodi, che dunque da oggi è, oltre che Governatore, anche commissario e assessore alla sanità (senza dimenticare il ruolo che svolge come commissario alla ricostruzione).

Dopo Daniela Stati, quindi, la giunta Chiodi rimane orfana di due assessori. La questione sarà affrontata domani nel corso del vertice sul rimpasto di Giunta tra Chiodi, il coordinatore del Pdl Filippo Piccone, ed il vice Fabrizio Di Stefano.

 

Di seguito, il testo integrale della lettera inviata dall’ex assessore Lanfranco Venturoni al Presidente Gianni Chiodi.

Caro Gianni,qualcuno ha scritto che “attendere” è uno dei verbi della politica, ma tu mi mi conosci: io sono cresciuto, nella vita, nella professione e nella politica, nella certezza che il verbo fosse sempre e soltanto uno: fare. “Fare” nel segno della giustizia, della legalità, del rispetto delle regole, delle persone e delle leggi. Per questo intuirai, tu che negli anni hai imparato a riconoscere anche i miei umori, quanto la vicenda della quale sono vittima, e non a caso non dico protagonista, ma ripeto, vittima, non sia per me solo un passaggio, un momento, uno scoglio di quelli nei quali, quando cerchi di tenere salda la rotta, può succedere di incagliarsi. Lo so che, in questo momento, logica vorrebbe che io restassi in silenzio, ad aspettare il correre degli eventi, a continuare a preparare i dettagli di una “difesa” della quale continuo a non sentirmi obbligato, perché io so di non avere mai commesso un atto, non uno, per il quale io debba difendermi. Così come so, con la più profonda delle certezze, di non aver mai messo la mia Regione, il mio presidente, il mio partito, i miei elettori e soprattutto il cognome della mia famiglia nelle condizioni di dover soffrire per una mia azione. Eppure, in queste ore, quella sofferenza io la sento. Perché io, oggi, sono “il cattivo”, l’assessore regionale salito agli onori delle cronache nazionali per aver esposto, la sua Regione, ad un “nuovo scandalo” giudiziario, contribuendo a trasmettere dell’Abruzzo e di noi abruzzesi, un’immagine che non ci appartiene e che ci mortifica ingiustamente. Io oggi sono “l’assessore” che non può svolgere degnamente il ruolo al quale il presidente della Regione l’ha chiamato, perché costretto a restare confinato negli spazi del proprio Comune. Io oggi sono “l’eletto” che non può svolgere degnamente il ruolo al quale i suoi elettori l’hanno chiamato, perché costretto a restare confinato negli spazi di un orizzonte minimo. Non è giusto. E non è da me. Per quanto, ho sentito il momento di non dover declinare più il verbo “attendere” e, presa carta e penna ho deciso di affidarti queste mie riflessioni. Qualche anno fa, don Tonino Bello, scrisse: “Se oggi non sappiamo attendere più, è perché siamo a corto di speranza”. Non è il mio caso. Se oggi io non so attendere più è perché sono a corto di pazienza. Mi spazientisce il senso profondo dell’ingiustizia che sto patendo, il linciaggio morale che prescinde da ogni pur minima verifica, il gioco al massacro di chi deve, sempre e comunque, trovare il “mostro” da sbattere in prima pagina, il malinteso giustizialismo servile di chi spera di lucrare un vantaggio, politico e personale, dall’altrui disgrazia. Mi spazientiscono le voci di tanti, di troppi. Mi spazientiscono anche i timori di poter dare di me, e del mio intendere la Politica quale servizio vero, quale missione “alta” dell’agire umano, solo l’immagine di un attaccamento ad un ruolo ed ad una poltrona. Tu sai quanto, nella mia storia politica, le “poltrone” siano state per me strumenti del fare, mai posizioni dell’apparire; così come sai, fin troppo bene, con quanta facilità io abbia saputo imboccare la porta, quando sentivo venir meno la possibilità di agire per il Bene Comune. Così, arrivo allo scopo vero di queste mie righe, che è uno scopo che pretende l’ufficialità della parola scritta e la serietà degli atti certi, in un momento nel quale tutti sembrano impegnati a confondere la politica in un magma indefinito. Io mi dimetto. Con queste righe comunico formalmente al mio Presidente Gianni Chiodi la mia disponibilità a rimettere immediatamente nelle mani del Governatore le deleghe che vuole affidarmi. Non è una resa, la mia, non ne sarei capace per indole e formazione, ma è la necessità i fare chiarezza, di offrire al mio Presidente, al mio Partito, alla mia gente, la conferma del mio considerarmi , da sempre “al servizio di …”. E questo continuerò a fare: continuerò a battermi, tutti i giorni, per la giustizia, la legalità, il rispetto delle regole, delle persone e delle leggi. Perché non conosco altro modo di vivere. Teramo, 22 novembre 2010-11-22. Con affetto Lanfranco Venturoni

Il commento del segretario regionale del Pd Silvio Paolucci. “Le dimissioni di Venturoni arrivano fuori tempo massimo: Chiodi e il centrodestra si portano sulle spalle un enorme fallimento politico e amministrativo aggravato da una arroganza senza precedenti, che ha tenuto sulla poltrona di assessore una persona con obbligo di dimora. Con le liste d’attesa che si allungano giorno dopo giorno, la disorganizzazione, i tagli che piovono dall’alto solo sulla sanità pubblica, l’Abruzzo ha bisogno di un assessore a tempo pieno: è quello che chiedono soprattutto quei cittadini, quegli amministratori, quegli operatori della sanità che stanno protestando in tutta la regione contro i tagli imposti da Chiodi. C’era stato l’impegno a riportare la discussione sui tagli in quattro tavoli provinciali, ma questo ovviamente non è avvenuto: noi ci continuiamo a battere perché si apra invece un dibattito con gli operatori, i sindaci, i sindacati e perché si fermi la disarticolazione della sanità pubblica”

 

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