Teramo, oltre la parola: una mostra e un gioco interattivo sfidano il significato di ogni linguaggio

DSC_0209Teramo. Per una settimana, quella della Coppa Interamnia, quella dei tanti popoli che si riversano nelle strade cittadine, Teramo diviene capitale dei linguaggi. Un incontro senza confini di culture, di gesti. Concetti universali espressi attraverso codici differenti. Ma cos’è in fin dei conti la “parola”? Lo scorso 9 luglio, l’ associazione culturale Neon ha sviluppato questo quesito filosofico creando uno spazio in piazza Sant’Anna alle riflessioni sul tema di due giovani artisti teramani, Stefano Scipioni e Mara Di Giammatteo, attraverso un gioco interattivo ideato dal primo, denominato “Scrabble”, e di una mostra della seconda, con titolo “Mutevole, per altro di senso”.

Se in piazza lo Scrabble, rivisitazione del gioco dello Scarabeo, faceva impazzire i tanti curiosi che si sono cimentati nella doppia composizione di parole sorteggiando lettere del tutto causali, i più curiosi hanno potuto perdersi per qualche minuto nelle opere criptate esposte poco distanti. DSC_0235Al centro di tutto, il concetto di parola, il suo ruolo, il suo senso. Certo, un codice arbitrario socialmente riconosciuto, assodato. Ma il contraltare di questo codice è l’insignificanza, il fraintendimento. Il parlare cammina infatti su un filo molto sottile che ci siamo dati ma che non ha in se nessun criterio di verità. Non c’è un segno univoco sempre e per sempre, parlare non vuol dire necessariamente decodificare la verità: i segni hanno un secondo lato che non corrisponde al primo, quello è il tempo della musica e del miracolo. Per questo è necessario scardinare ogni preconcetto legato alla parola (Scabble), rivalutando la natura stessa della parola, priva in realtà di alcun codice di certezza assoluta. Il pensiero umano non nasce linguistico, è piuttosto un segno emblematico del tracciato da una mano artistica contro la spersonalizzazione del gesto. L’uomo, in fin dei conti, non è la lingua.
La cancellazione delle parole (Mutevole, per altro di senso), che si ripropone costante nel concetto della mostra, altro non è invece che un prolungamento della ricerca pittorica segnica gestuale, come intervento sulla parola dipinta. Come se le pagine di un libro potessero essere dipinte scrivendoci dentro, come una tela di un quadro. La scrittura, come anche la sua cancellazione, diverrebbe segni anatomici di un lavoro globale, riassumibile in un gesto universalmente riconosciuto. Capito?

 

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