Teramo, il ricordo in Questura della morte del moscianese Settimio Passamonti

Teramo Questa mattina, alle 9.30, è stato ricordato in Questura, dove è presente una lapide in ricordo, il quarantatreesimo anniversario dell’uccisione dell’Allievo Sottufficiale Settimio Passamonti a cui è dedicata la Caserma, con una cerimonia ristretta a causa della nota emergenza sanitaria in atto, alla presenza del Questore e con la benedizione del Cappellano della Polizia di Stato per la Provincia di Teramo, Don Carmelo Le Rose.

“Roma, 21 aprile 1977: nel primo pomeriggio l’Università era stata appena sgombrata e la Polizia stava ai margini del quartiere San Lorenzo limitandosi a brevi cariche di alleggerimento, giusto per disperdere un esiguo gruppo di autonomi.
All’improvviso, le Forze dell’Ordine vennero fatte oggetto di una scarica di colpi d’arma da fuoco.
A terra restò l’Allievo Sottufficiale Settimio PASSAMONTI, aveva 23 anni.
Altri tre agenti ed un carabiniere furono feriti, ma si salvarono.
Una mano vigliacca scrisse sull’asfalto dove era appena caduto il giovane:’Qui c’era un carruba, LORUSSO è vendicato’. Il rito sacrificale di una logica aberrante era stato tristemente celebrato”.

Questa è la fredda cronaca di uno dei tanti assassini che hanno costellato i cosidetti “anni di piombo”, anni in cui sembrò a troppi che la violenza di piazza prima e, successivamente, la lotta armata ed il terrorismo fosse una scelta di vita praticabile ed uno strumento utilizzabile per modificare gli equilibri politici e la forma costituzionale dello Stato.

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“Il giudizio – spiega la Questura di Teramo – di questo fatto di sangue resta, ormai a distanza di quarant’anni, quel che era: il morto fu cercato a freddo per vendicare la morte di un altro giovane, senz’ altra motivazione politico-militare immediata. Sono stati anni bui esaltati da una virulenza bieca in cui il conflitto di piazza assunse le sembianze di un tragico rito collettivo irrinunciabile e da un giornalismo settario che creò il mito della “P 38″, che fece della controinformazione uno stile e che artatamente determinò l’isolamento sociale di seri servitori dello Stato, in ciò creando i presupposti perché loschi assassini potessero continuare ad uccidere in nome di falsi ideali.
Gli eccidi, le stragi aumentarono la tensione in un ambito già infuocato. Il livello dello scontro si alzò: si parlò di opposti estremismi, di stragi di Stato e negli ambienti più estremi, si passò alla clandestinità. Nacquero varie organizzazioni eversive sia di sinistra che di destra e nelle manifestazioni di piazza molti manifestanti iniziarono a presentarsi mascherati, spesso armati di spranghe, bombe molotov e talora anche della tristemente famosa P38”.

“Le forze migliori del Paese, prime fra tutte le Forze dell’Ordine, hanno avuto la forza di piangere i propri morti senza accettare provocazioni, ma traendo da questi lutti un rinnovato vigore per disarticolare sistematicamente, utilizzando esclusivamente le norme poste a tutela dello Stato democratico, le varie organizzazioni estremistiche”, conclude la nota.

 

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