Teramo, pensione revocata a condannato per associazione mafiosa: il giudice accoglie il ricorso

Il giudice del lavoro del Tribunale Civile di Teramo, Daniela Matalucci, con una recente sentenza, ha accolto un ricorso presentato dall’avv. Fabio Cassisa, del Foro di L’Aquila, con il quale il legale chiedeva l’annullamento del provvedimento di revoca della pensione di invalidità civile disposta dall’INPS nei confronti di un suo assistito.

 

Un assistito non qualunque, visto che si tratta di un condannato per gravi reati definiti ostativi, tra i quali quello di associazione mafiosa, attualmente sottoposto a sospensione della pena per gravi motivi di salute. La revoca della pensione era stata disposta in base all’art. 2, commi 58/63 L. n. 92/2012 (meglio nota come Legge Fornero), la quale prevede detta sanzione a carico di soggetti condannati per alcuni dei reati ostativi (quelli più gravi, ritenuti di maggior allarme sociale, quale l’associazione mafiosa) fino al termine del periodo di esecuzione della pena inflitta.

 

Il giudice del lavoro ha annullato il provvedimento di revoca emesso dall’INPS, con conseguente ordine di ripristino della prestazione assistenziale a favore del ricorrente, condannando l’ente previdenziale al versamento degli arretrati dovuti dalla revoca in poi.

 

Si tratta del primo provvedimento giudiziario in Italia che dispone in tal senso. L’INPS, in base alla suddetta normativa e su disposizione del Ministero della Giustizia, ha cominciato a revocare le prestazioni assistenziali solo a partire dal mese di maggio del 2017, nonostante la norma sia in vigore dal 2012. Il ricorso dell’avvocato Fabio Cassisa, era fondato su due distinti motivi di doglianza, entrambi di rilievo costituzionale. Con il primo motivo è stato evidenziato come la normativa in questione non possa ritenersi applicabile nei confronti di soggetti non detenuti (perché in sospensione della pena per motivi di salute – come il proprio assistito -, o anche perché sottoposti a misure alternative alla detenzione, quali la detenzione domiciliare o l’affidamento in prova ai servizi sociali), ancorché condannati in via definitiva per i gravi reati previsti dalla normativa in questione. Ciò in quanto diversamente si incorrerebbe nella violazione dell’art. 38 Cost., il quale prevede come principio assoluto che ogni cittadino inabile al lavoro e provvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento ed all’assistenza sociale. Con il secondo motivo il legale, ritenendo che la misura della revoca delle prestazioni assistenziali costituisca una sanzione amministrativa accessoria alla condanna penale e che, dunque, detta sanzione abbia natura penale, ha eccepito come la stessa non possa trovare applicazione retroattiva, in quanto diversamente detta normativa finirebbe col violare l’art. 25 Cost., il quale dispone l’irretroattività della legge in ambito penale e, dunque, anche delle sanzioni accessorie a condanna penale (nel caso di specie, il reato era stato commesso dal ricorrente prima dell’entrata in vigore della norma).

 

La pronuncia assume grande rilevanza giuridica, anche in considerazione del fatto che con essa il giudice sulla base dei motivi di ricorso, pur non rimettendo la questione alla Corte Costituzionale – come richiesto dal Legale del ricorrente – per mancanza di specifica rilevanza nel caso sottoposto alla sua attenzione, ha dato una lettura costituzionalmente orientata della norma e nelle motivazioni della sentenza ha individuato i criteri ermeneutici a sostegno della natura penale della sanzione accessoria, assumendo come non possa legittimarsi alcuna applicazione retroattiva della sanzione accessoria della revoca della prestazione assistenziale, pena l’illegittimità costituzionale del disposto normativo. Come detto, si tratta della prima pronuncia in ambito nazionale che abbia disposto il ripristino del diritto pensionistico in favore di un soggetto condannato per reati ostativi a seguito della revoca della prestazione in base alla Legge Fornero. La pronuncia è destinata ad avere eco e risalto nazionale, anche per la grande rilevanza economica della questione, posto che, secondo dati INPS, in ambito nazionale le prestazioni assistenziali revocate in base alla normativa sopra richiamata sarebbero circa 15.000.

 

 

Il giudicante ha, infine, disposto per la metà la compensazione delle spese di lite, condannando per la seconda metà l’INPS alla refusione delle spese legali sostenute dal ricorrente.

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