Alba Adriatica, dimessa dall’ospedale perché non c’è posto. Muore due giorni dopo

Dimessa dall’ospedale di Giulianova perché non c’è posto, il giorno successivo trova “ospitalità” a Sant’Omero.

 

Ma oramai è troppo tardi: l’anziana con un aneurisma in corso muore il giorno dopo il ricovero. È uno spaccato di come, talvolta, la sanità pubblica perda di vista il suo obiettivo principale e da parte dei fruitori del servizio si rimanga a dir poco amareggiati e non solo.

 

Tutta la vicenda prende origine lunedì scorso quando un’anziana di Alba Adriatica di 87 anni arriva in ambulanza al pronto soccorso dell’ospedale di Giulianova. Qui inizia una sorta di calvario, come raccontano la figlia e il genero. La lunga attesa e alcuni sintomi (conati di vomito) che non sarebbero stati valutati nella dovuta maniera. L’anziana, probabilmente, avrebbe bisogno di essere ricoverata, ma in reparto non c’è posto e nel frattempo sembra stare meglio. A quel punto l’anziana viene dimessa. Ma qui inizia la seconda parte del calvario. Non esistono ambulanze disponibili per riportarla a casa, ad Alba Adriatica. I familiari cercano, senza successo, di caricarla in macchina.

 

Ma non è un’operazione possibile. “In ospedale ci hanno dato un elenco di numeri di ambulanze che fanno questo servizio”, raccontano, “ma nessuno era disponibile. Qualcuno ci ha detto chiamate un taxi e anche una telefonata ai carabinieri ci ha lasciato alquanto interdetti. Nessuno ci ha aiutato, con un’anziana in quelle condizioni”. In ogni caso dopo varie peripezie i familiari della donna hanno trovato un’ambulanza in arrivo da Campli (erano oramai le 23 con la donna che era arrivata al pronto soccorso poco dopo le 18) che ha effettuato il trasporto verso il domicilio ad Alba Adriatica.

Familiari ovviamente contrariati. Il giorno successivo, l’anziana si sente nuovamente male e questa volta viene trasportata all’ospedale di Sant’Omero, dove viene visitata e ricoverata. Ma oramai, vista anche la sua età, non è possibile intervenire e il giorno dopo muore.

 

“Accorgersi prima di quello che stava accadendo”, racconta la figlia, “forse avrebbe cambiato l’esito finale. Magari le cose sarebbero andate nella stessa maniera. Di certo non è tollerabile dover sopportare una situazione di questo genere e del modo con il quale la paziente è stata trattata”. A distanza di qualche giorno la rabbia accumulata per l’evolversi della situazione è ancora evidente, così come è ipotizzabile che la famiglia interpelli il tribunale del malato per andare fino in fondo. “ Vogliamo lanciare un appello pubblico al Governatore Luciano D’Alfonso e al Ministro Beatrice Lorenzin, “ e chiedere se queste cose sono tollerabili. Se questi episodi, a prescindere poi dall’epilogo doloroso, possano poi rappresentare la sanità pubblica. Chiedere se questo è il modo di trattare i malati”.

 

 

 

 

 

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