Pesca, la lettera a Renzi e la protesta dei marittimi a Porto San Giorgio

Da giorni circola su Facebook una lettera che una moglie di un pescatore ha deciso di inviare al Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Con rispetto e piena condivisione la riportiamo integralmente.

 

“Gentilissimo Sig. Renzi

Sono una mamma di 37 anni di 2 figli di 14 e 11 anni, e moglie di un uomo di 40 anni che da 26 anni fa il pescatore, un lavoro che lo tiene lontano da casa e dai suoi affetti per 4 gg alla settimana. Un mestiere che negli ultimi anni non da’ guadagni proporzionali alla quantità e qualità di lavoro svolto, e insufficienti a garantire un’esistenza libera e dignitosa, come invece afferma che dovrebbe essere, l’art. 36 della nostra Costituzione Italiana.
Le scrivo questa lettera per aiutarci a ritrovare la fiducia nelle Istituzioni, in quanto da giovedì 13 ottobre 2016, ci sentiamo definitivamente abbandonati da uno Stato, che anziché tutelarci, ci ha tolto una cosa, addirittura più importante del lavoro stesso, e cioè l’amore e la passione per quel lavoro che mio marito ha svolto sempre con immenso entusiasmo, un mestiere duro, che da generazioni viene fatto, con una passione ammirevole, da tutti gli uomini della sua famiglia . Ma vengo al dunque. Giovedì mattina, alle ore 04:00, all’asta del pesce del ns piccolo paese sul litorale marchigiano, Porto San Giorgio, dove mio marito porta tutto il pescato per essere commercializzato, gli sono stati sequestrati dalla Capitaneria di porto locale, 7,5 kg di merluzzi sotto misura su un totale di pesce pescato di 520 kg.
Tali merluzzi, risultati irregolari per la vendita, sono stati pescati da mio marito con mezzi conformi (la grandezza delle maglie della sua rete per la pesca a strascico, oggetto anch’essa di controllo da parte dei militari, e’ risultata essere a norma) alla legge, la quale ha lo scopo, tra l’altro giusto a mio avviso, di tutelare il novellame, e permettere così ai pesci più piccoli di crescere e riprodursi. Se accidentalmente, nonostante le dovute misure, del pesce piccolo entra nella rete, quest’ultimo deve essere rigettato in mare; ma i pesci tirati su con la rete sono morti, e quindi mi chiedo come faranno a crescere e riprodursi. A questo proposito aggiungo, che tra pochi mesi, questi pesci sotto misura, anziché rigettati in mare dovranno essere riportati a terra e consegnati ad una ditta di smaltimento, pagata ovviamente dal pescatore, perché si è visto che questi pesci morti vanno ad alterare l’eco sistema marino, in quanto i pesci si abitueranno a mangiare pesci morti, prede ovviamente più facili, anziché pesci vivi. E per questo mi chiedo se non sia il caso di rivedere la legge, in quanto non raggiunge più lo scopo per cui è stata fatta. Ora le spiego anche perché probabilmente mio marito non sia riuscito a rispettare questa legge discutibile. Mettersi a misurare ogni pesce per verificare quelli che non raggiungono le misure consentite dalla legge, per poi rigettare in mare gli esemplari morti, che comunque non potranno quindi riprodursi, non lascerebbe tempo, già troppo esiguo per un riposo che gli consenta di svolgere il suo lavoro in sicurezza (4 o5 ore attualmente nell’arco di 24 ore).
Detto ciò, mio marito ha comunque sbagliato per la legge. Ha riportato 7,5 Kg di pesce sotto misura che avrebbero rappresentato circa 50 euro di incasso. I militari preposti al controllo gli hanno fatto una multa di 5.000 euro e gli sono stati tolti 5 punti sulla sua licenza di pesca e 5 punti sul suo libretto di navigazione. Quindi per 50 euro di infrazione, 5.0000 euro di multa. Dopo averle spiegato tutto ciò , torno al vero motivo per cui le scrivo. Mio marito, giovedì , in preda alla disperazione, per l’impossibilità di pagare una multa tanto esosa, dal momento che da 2 mesi non ha guadagni, a causa del fermo pesca, e che i ns risparmi sono serviti per pagare il mutuo della ns casa e i libri scolastici per i ns figli in primis, ha urlato davanti ai suoi figli: “BASTA, mi hanno tolto quello che di più caro avevo dopo di voi, la passione per quello che faccio e la dignità. Non vogliono più permettermi di lavorare, vogliono che le ns barche rimangano ferme nei porti!” Davanti ad un padre disperato, suo figlio, che lo ha sempre visto come un eroe, tornare dal lavoro stanco ma soddisfatto, gli ha detto: “Non preoccuparti babbo, non può essere così , io l’ho studiato a scuola, ho studiato la ns Costituzione e so che lo Stato favorisce e promuove le condizioni affinché tu possa svolgere un tuo diritto fondamentale, quello al lavoro”. Beh di fronte a questo, per la prima volta, ho visto scendere una lacrima sul volto di mio marito. In quella lacrima, oltre alla rabbia e al dolore della sconfitta, sono sicura che ci fosse anche la speranza che ns figlio possa ancora credere nella ns Costituzione e in ciò che insegnano a scuola. Mi dica lei, la risposta, oltre le lacrime, che possiamo dare ai ns figli, affinché ci credano ancora.
La moglie di un pescatore”.

 

Dopo aver letto questa lettera, le imprese della pesca del Medio Adriatico aderenti alla rete d’imprese MA.MOL.AB, hanno deciso di darne massima divulgazione ritenendo lo sfogo della signora più che legittimo e condivisibile, a testimonianza di un sistema che, se sta portando le persone all’esasperazione, significa che non funziona più! I pescatori d’Italia sono esausti, sfiniti, increduli nel constatare che davvero non ci sia mai limite al peggio, ogni giorno devono fare i conti con decreti ministeriali che davvero escono a raffica! In molti dichiarano tale situazione non più sostenibile ed il clima sulle banchine dei porti italiani si fa sempre più infuocato, come la protesta che si sta volgendo in queste ore a Porto San Giorgio.
E’ triste constatare che lo Stato Italiano non solo non da giusta attenzione al settore della pesca, dedicandogli un Dipartimento (e non un Ministero) che accoglie nel peggiore dei modi le indicazioni che giungono dalla Comunità Europea.
L’art.90 del Reg. Comunitario 1224/2009 esplicita che “oltre all’art.42 del Reg. CE n.1005/2008 sono considerate infrazioni gravi anche le attività in funzione della gravità determinate dall’autorità competente dello Stato membro (cioè dall’Italia), che dovrebbe tener conto di criteri quali la natura del danno arrecato, il suo valore, la situazione economica del trasgressore e la portata dell’infrazione o la sua reiterazione!
Crediamo dunque che sia davvero inopportuno e altamente squilibrato che lo stato membro Italia abbia punito il pescatore, marito della signora scrivente, con “una multa di 5.000 euro, 5 punti sulla sua licenza di pesca e 5 punti sul suo libretto di navigazione per 50 euro di infrazione.” Tutto ciò è inaccettabile. E’ inconcepibile catalogare tra le infrazioni gravi chi pesca, con divieto di pesca entro le 6 miglia dalla costa, chi si trova a pescare a 5,9 miglia con chi pesca ad un miglio o con attrezzi vietati. Il fatto che il legislatore parli sempre di “divieto”, “sanzione”, penalizzazione” e mai di un sistema di “premialità” pone quantomeno dei dubbi sulla vocazione che spinge a legiferare.
Gli armatori vogliono far presente a chi governa, e soprattutto a chi scrive ed approva leggi e decreti riguardanti la pesca in Italia, che troppo spesso vengono emanante delle normative attuative impossibili da applicare alle realtà produttive locali.
Nel corso degli ultimi anni, a seguito dell’abolizione del parlamentino e della consulta generale della pesca, vi è una totale assenza di confronto tra i pescatori e la Direzione Generale della Pesca Italiana che emana decreti senza un minimo di confronto preliminare.
Ultimi in ordine di tempo alcuni dei tanti contestati decreti:
la legge n°154 ispirata solo a concetti di base punitivi o repressivi, senza prevedere un sistema di premialità a chi invece rispetta le normative comunitarie e ponendo sullo stesso livello di gravità penale delle azioni troppo diverse tra loro. Chi pesca con attrezzi da pesca regolamentari e in zone di mare ove la pesca è consentita e accidentalmente cattura una specie sottomisura non può essere punito penalmente e soprattutto non può essere equiparato a chi pesca con attrezzature vietate e in zone di nursery.
L’entrata in vigore dei regolamenti n.1224 e 404 riguardanti i sistemi blu box e logbook che non tengono conto delle effettive dinamiche collegate alle attività di pesca e alle operazioni di sbarco e pesatura che avvengono nei porti italiani, molto diversi da quelli del nord Europa a cui si ispirano la maggior parte delle normative comunitarie; e di ciò la Direzione Generale della Pesca deve tenerne conto in fase di attuazione dei regolamenti d’attuazione. Parlare di tolleranze del 10% di peso a cassette di pesce che nel giro di poche ore possono avere un calo nettamente maggiore per fattori legati al “calo peso” o allo scioglimento del ghiaccio è decisamente improponibile.
Il Decreto Ministeriale del 25 gennaio 2016 che istituisce l’elenco nazionale delle barche autorizzate alla pesca delle alici e sarde nel Mar Adriatico, privando di fatto molte imbarcazioni della licenza di pesca legittimamente acquistata; non era davvero possibile fornire l’elenco delle imbarcazioni in altro modo?
Una normativa che sembra tener conto più della salvaguardia dei tonni che dei pescatori! Lo sa bene chi esercita l’attività di pesca per la cattura dei piccoli pelagici con sistema a circuizione (o lampara) che da anni non registrava uno stato di crisi come quello attuale, in cui registrano un’interferenza di tonni, in costante crescita, che rompono le reti e non permettono di raccogliere le alici o sarde.
Il divieto di Pesca nelle zona impropriamente definita “Fossa di Pomo” che non rispetta le coordinate geografiche istituite nel 2003 ma che aumenta l’area interdetta per le imbarcazioni italiane e diminuisce l’area per le imbarcazioni croate.
E le prospettive future non sono affatto incoraggianti, anzi! Circolano bozze di regolamenti per l’obbligo di sbarco di specie di taglia minima che sembrerebbero incoraggiare la pesca di pesce sottomisura per incentivare la produzione di farine di pesce anziché favorire realmente la salvaguardia delle specie ittiche, tutelandone la riproduzione.
In conclusione con questo comunicato stampa MAMOLAB vuole fare presente con forza a chi governa il mondo della pesca che c’è solo un modo per riportare ordine ed equilibrio nel settore, ovvero quello di istituire un tavolo permanente con i veri pescatori, con chi vive quotidianamente e sopra la sua pelle i problemi del suo lavoro in mare e a terra con la burocrazia attuale! Non è possibile negare ancora l’evidente necessità di confrontarsi con la base produttiva per far fronte ai problemi che ci sono e soprattutto per evitare che altri si presentino. Se è vero che “prevenire è meglio che curare” è anche vero che solo attraverso la concertazione ed il confronto è possibile evitare problemi prima ancora che nascano. Ciò è invocato da mesi, anzi anni, in tanti modi. Questo è un grido d’allarme importante che se ignorato può essere davvero pericoloso e chi governa dovrà prendersi le proprie responsabilità.

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