Delitto piccolo Jason: ricorso in Cassazione per la condanna di Katia Reginella

Arriva il ricorso in Cassazione per la condanna, a 18 anni di Katia Reginella, la madre del piccolo Jason, il cui corpo non è stato mai trovato. Le motivazioni del ricorso al terzo grado di giudizio, sono condensate in una nota del difensore della donna.

 

La celebrazione del processo, sin dalla fase delle indagini preliminari, è stata realizzata tramite una franca, grave e reiterata violazione dei principi sanciti dagli articoli. 3 e 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, tanto da trasformare il giudizio in un cinico esperimento avente per oggetto una povera cavia umana”. Così l’avv. Vincenzo Di Nanna, difensore di Katia Reginella condannata in appello (18 anni di reclusione) per il delitto del figlio Jason, ha motivato il ricorso per Cassazione.

 

 

“Siamo dinanzi al più completo travisamento del fatto: si è creato e alimentato il mostro della ‘mamma assassina’, utile solo per le speculazioni di certa stampa”, spiega Di Nanna. “Eppure la verità emerge perfino dalle contraddittorie motivazioni della sentenza, dove si ammette infatti che la Reginella, priva di ogni sostegno da parte dei familiari, conviveva con Denny Pruscino subendo condotte violente e maltrattamenti del compagno, oltre all’allontanamento dei due precedenti figli avuti dallo stesso, conseguiti al riscontro di traumi e lesioni sui bambini da parte di servizi sociali; senza contare la violenza sessuale di gruppo subita dall’imputata”, spiega Di Nanna.

 

 

 

“Pertanto la decisione frettolosa della Corte d’Assise d’Appello di Ancona di voler giudicare i fatti ‘prescindendo’ dal contesto familiare in cui si sono svolti appare assolutamente illogica e irrazionale, al punto da far ritenere il totale difetto di motivazione. Ma vi è di più: prescindendo infatti anche dalla evidente condizione d’infermità mentale dell’accusata, la sua comprovata scarsa capacità di critica e autocritica, l’inadeguato esame di realtà e il plausibile scompenso di tipo psicotico provocatole dalla morte del figlio, l’Accusa è arrivata al punto di procedere all’interrogatorio facendo mimare all’imputata, mediante un bambolotto, la condotta assassina del marito, contro la dichiarata volontà di lei, rendendo così palese la violazione dell’art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo ai danni di una madre affetta da ritardo mentale che, al momento della morte del figlio, non si trovava neppure nella stessa stanza. E’ come se, purtroppo, il pregiudizio creato e alimentato da stampa e TV della ‘mamma assassina’ abbia finito per prevalere sulla ragione: alla ricorrente non resta allora che sperare nel giudizio della Suprema Corte, che, ristabilita verità e giustizia, conduca all’esclusione del suo concorso nell’omicidio del figlioletto”, ha concluso l’avvocato.

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