Discarica Bussi, le motivazioni della sentenza: riconosciuto l’avvelenamento dell’acqua

Pescara. “Secondo il diritto vigente, già all’epoca dei fatti per i quali si procede, l’ordinamento conteneva norme volte a tutelare le acque dall’inquinamento e le stesse matrici ambientali”.

E’ uno dei passaggi delle motivazioni della sentenza emessa il 28 settembre scorso dalla Cassazione sulla vicenda relativa alla mega discarica di rifiuti tossici di Bussi sul Tirino, in provincia di Pescara. Relativamente al ricorso con il quale gli imputati “rilevano l’insussistenza di divieti di interramento in epoca antecedente al 1982”, per la Cassazione “l’assunto non ha pregio”.

Il mese scorso i giudici di Piazza Cavour avevano assolto quattro imputati “per non aver commesso il fatto”; sei posizioni erano invece cadute in prescrizione relative al reato di disastro ambientale colposo aggravato. Il verdetto aveva ribaltato la sentenza d’appello, in cui erano state inflitte 10 condanne a pene – coperte interamente da indulto – comprese tra 2 e 3 anni. La Corte, inoltre, aveva rigettato sei ricorsi con cui chi era stato assolto in appello in base all’articolo del codice di procedura penale che ricalca la vecchia formula dell’insufficienza di prove chiedeva l’assoluzione con formula piena.

Gli ‘ermellini’ scrivono che “la consumazione del reato di disastro non può considerarsi protratta oltre il momento in cui ebbero fine le dispersioni nelle matrici ambientali, al più tardi nell’anno 1997, secondo le conformi valutazioni di ordine fattuale espresse dai giudici di merito”.

I giudici rilevano che “alla data della pronuncia della sentenza di primo grado il termine prescrizionale massimo, pari a 15 anni, tenuto conto pure delle intervenute sospensioni, era ampiamente decorso, come correttamente rilevato dalla Corte d’Assise di Chieti, anche in riferimento all’ultimo degli episodi criminosi in addebito, collocabile al più tardi nel corso dell’anno 1997”.

La Cassazione riconosce poi anche l’avvelenamento delle acque di falda e, infatti, in un passaggio evidenzia che “la Corte d’Appello ha sviluppato uno specifico percorso motivazionale, proprio in riferimento agli altissimi valori che erano stati accertati nella falda acquifera superficiale e profonda sottostante l’area Tremonti”. I giudici, esaminando la posizione dell’imputato Carlo Cogliati, evidenziano inoltre che ”La Corte d’Appello ha ricostruito dettagliatamente il fenomeno della contaminazione della falda, come emergente nello studio audit del 1992; ed ha osservato che Cogliati aveva il preciso obbligo di intervenire attraverso gli interlocutori tecnici, quali il responsabile Opearations e il responsabile della funzione Pas centrale. Si tratta di considerazioni che portano ad escludere la sussistenza dei presupposti per un proscioglimento di merito”.

GERDARDIS: ORA L’ABRUZZO PUO’ BONIFICARE

“Gli imputati possono trincerarsi dietro la prescrizione, ma l’Abruzzo ora può contare su uno strumento efficacissimo per pretendere da chi ha inquinato la bonifica di quell’area, con vantaggi che tutti possono immaginare per la salute e il benessere del territorio e di chi lo vive”.

Lo scrive sul suo profilo Facebook Cristina Gerardis, che ha rappresentato l’Avvocatura dello Stato nel procedimento, commentando le motivazioni della Cassazione. “Dopo averla letta – scrive Gerardis – posso dire che 10 anni di lavoro non sono stati inutili. La sentenza puo’ definirsi storica, per quattro motivi. Il primo: ha detto che il reato di avvelenamento protegge dalle aggressioni dell’uomo anche le acque di falda, quelle sotterranee, non visibili agli occhi, ma essenziali per l’approvvigionamento idrico. Il secondo: ha confermato che, in quella zona dell’Abruzzo, societa’ della Montedison, per mezzo secolo, hanno causato un disastro ambientale definito come un “accadimento macroscopico, dirompente e caratterizzato per il fatto di recare con se’ una rilevante possibilita’ di danno alla vita o all’incolumita’ di un numero non individuabile di persone”. Lo hanno fatto esercitando l’industria, con il solito inaccettabile scambio tra lavoro e salute, tra denaro e ambiente”. Il terzo motivo “ha definitivamente affermato che il disastro ambientale e l’avvelenamento delle acque possono essere commessi anche “non facendo”, minimizzando la gravita’ della situazione, falsando i dati per tranquillizzare la gente, dando indicazioni di “non spaventare chi non sa”. Il quarto: ha accolto nella sede piu’ alta di un processo la mia tesi, che anche negli anni ’60 e ’70, in Italia, “l’ordinamento conteneva norme volte a tutelare le acque dall’inquinamento e le stesse matrici ambientali”.

FORUM H2O: AVEVA RAGIONE CONTI

“La lettura delle motivazioni della sentenza sono un ulteriore sprone per andare avanti verso la bonifica” così il Forum H2O dopo la lettura della sentenza della Cassazione”, commenta il Forum abruzzese per i diritti dell’acqua, che in una nota afferma: “Seppur con l’amaro in bocca per l’avvenuta prescrizione e per una legislazione che dovrebbe a nostro avviso essere più stringente sulle questioni ambientali, questa sentenza conferma in gran parte l’impianto originale dato agli inquirenti nel 2007. È un ulteriore riconoscimento, quindi, per le intuizioni investigative del compianto comandante Conti e per la lotta dei cittadini per la qualità dell’acqua in Val Pescara.

“Una sentenza che, a parte il calcolo dei termini per la prescrizione e alcune assoluzioni con formula piena, conferma pienamente la ricostruzione della Corte di Appello relativa alla gravissima situazione sul campo per il disastro ambientale e per l’acqua e anche il fatto che c’erano leggi già dagli anni ’30 poste a tutela dell’ambiente e del territorio”, conclude il forum.

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