Pescara, operazione ‘Scoiattolo’: 3 gang a spartirsi il mercato della prostituzione. 27 gli arresti

questuramurianacameranocosentinoPescara. Ben 27 le persone finite agli arresti nel corso della maxi operazione portata a termine questa mattina dalla polizia di Pescara. Gang rumene e italiane a spartirsi il racket della prostituzione in città, “trafficando” decine e decine di ragazze dalla Romania, con un organizzazione simile per metodi e soprusi a quella di stampo mafioso. L’avvio da una falsa denuncia di una prostituta “caporale”.

E’ stato il Gip del tribunale di Pescara, Luca De Ninis, ad emettere le misure di custodia cautelare: 19  carcerazioni, 4 arresti domiciliari e 3 divieti di dimora (al quale si aggiunge il provvedimento restrittivo per un 17enne rumeno emesso dal tribunale minorile de L’Aquila); e lo stesso De Ninis ha definito le connotazioni del racket in questione “vicine a quelle mafiose”. Non solo favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, ma anche associazione a delinquere, estorsione, rapina, ed una ben definitiva organizzazione “imprenditoriale” con l’unico scopo comune del massimo profitto. Per raggiungerlo, le tre gang, erano disposte a tutto, soprattutto alla violenza, verso le ragazze che costringevano a vendersi e verso i rivali che invadevano i territori accuratamente spartiti fra loro. I primi a farne le spese, sin dalla scorsa estate, sono altri gruppi criminali, come i protettori nordafricani relegati con le proprie prostitute alle zone periferiche della riviera di Montesilvano. Stesso trattamento per tutti coloro che avanzavano la pretesa di mettere le proprie lucciole nelle zone riservate, scacciati via con i mezzi più brutali.

Tre gang per tre zone, zone “di lusso”, appetibili e redditizie. Gallina dalle uova d’oro è la stazione centrale, in mano ad un gruppo con a capo Valentin Moflic, 25enne rumeno che con il supporto di altri connazionali aveva reso il territorio blindato ad altri concorrenti. Unico modo per poter lavorare su quei marciapiedi era pagare una “tassa di occupazione”, circa 50 euro per ogni prostituta, grazie alla preponderante capacità intimidatoria e alla violenza con la quale l’organizzazione interveniva contro chi sgarrava: si arrivava persino ad organizzare il sequestro della prostituta non regolamentata. Nella zona sud, invece, agivano le altre 2 gang, gomito a gomito in due sottozone limitrofe: una, sempre rumena, facente capo al 59enne Ioan Ciobanu, lavorava nella pineta della bonifica e in una piccola “succursale” sulla riviera di villaggio Alcyone, la terza, guidata dal trentatreenne pescarese Michele Colalè, padrone della privilegiata zona del porto turistico, sul lungomare Cristoforo Colombo. Meno accondiscendente Ciobanu, che non permetteva intrusione alcuna entro i suoi confini; più intransigente Colalè, che accettava il subaffitto previo pagamento di 50 euro al giorno per ogni prostituta che la concorrenza piazzava dalle sue parti. Tassa che riscuoteva grazie all’indole violenta e alla stazza da “culturista”, come ha descritto in conferenza stampa questa mattina il capo della Squadra Mobile Pier Francesco Muriana, affiancato dal suo vice Dante Cosentino e dal sostituto commissario Guido Camerano.

Pizzo, omertà e forza intimidatoria: queste le connotazioni simili allo stampo mafioso. “Stupisce”, dice Muriana, “la convivenza fra i gruppi, ma soprattutto che ci siano capi italiani per uomini rumeni e gregari italiani a servizio degli stranieri”. Fondamentale, infatti, il carattere associativo della rete. Seppur in grado di atti estremi, i 3 gruppi si risparmiavano gli interventi più violenti, le regolazioni di conti per le quali scendevano in campo i capi in persona, per non dare troppo nell’occhio alle forze dell’ordine: “per garantirsi una tranquillità in virtù del massimo profitto”, aggiunge Muriana. Una vera e propria impresa che si accorda con la concorrenza per non agitare le acque del mercato.

Violenza non risparmiata, invece, nei confronti delle ragazze sfruttate. Decine e decine di donne attirate dalla Romania con l’inganno di un lavoro lecito, finite poi in strada a vendersi sotto minacce e violenze fisiche e psicologiche. Definite dal gergo dei propri aguzzini come “bagagli” o “scoiattoli”. Messe in riga dalle “caporali”, figura basilare delle piramidi delle gang: prostitute più esperte incaricate dai capi di controllare e istruire le nuove leve, ad impartire le regole dei turni e delle condizioni di lavoro, ovviamente disumani, ad insegnare come si ci denuda in strada per attirare più clienti possibili anche nelle notti più fredde d’inverno; istruzioni minuziose che arrivavano persino al metro quadro preciso da occupare per incassare di più. Un controllo asfissiante che non lasciava alcuna libertà alle prostitute, sommato alla sottomissione prodotta dagli uomini al comando. Alcune di queste controllavano anche il mercato mentre gli uomini viaggiavano verso la Romania per caricare altre ragazze o scaricare il denaro in investimenti. Altre, come la trentunenne Anisoara Stan, metteva il proprio appartamento a disposizione per le prestazioni a pagamento delle sottoposte.

 

Da una falsa denuncia è scattata l’indagine. Proprio dal passo falso di una “caporale” è partita l’indagine della polizia pescarese, nel luglio scorso, quando la donna si presentò spontaneamente in questura a sporgere denuncia per la misteriosa scomparsa di una sua connazionale trentenne, riferendo di essere una prostituta e di aver visto per l’ultima volta l’amica allontanarsi a bordo della macchina di un cliente. Un escamotage ad effetto boomerang, utilizzato per prendere le distanze da ciò che ben presto avrebbe scoperto la squadra di Muriana: la donna venne immediatamente identificata come sfruttatrice, e si scoprì che la connazionale non era altro che una trentenne, madre di 5 figli rimasti in Romania, adescata dal racket con la solita falsa promessa e portata a Bari e infine a Pescara. Dopo mesi di continue angherie subite, la donna riuscì ad allontanarsi dagli aguzzini con la complicità di un cliente-benefattore 60enne della provincia di Chieti, il quale riuscì a condurla da alcuni parenti residenti a Roma. Con la mediazione dell’uomo, la polizia riesce a rintracciare la donna nella capitale e ad ottenere le prime, fondamentali, dichiarazioni negli uffici dell’ambasciata rumena.

Lunghissima, quindi, l’indagine, complicata dal carattere associativo del racket che costringeva gli inquirenti a non scoprire le proprie carte durante i mesi di controllo “h24”. Solo in casi di estrema necessità la Mobile interveniva, come le collaterali attività di rapina che i romeni perpetravano con cruda violenza anche verso connazionali. Nota, a novembre scorsa, l’aggressione ad un manovale che si era fatto scappare, durante una bevuta conviviale, di aver incassato 1800 euro come risarcimento: alcuni della banda della stazione l’avevano mandato in ospedale per rubargliene una parte e successivamente introdotti nel domicilio a caccia della restante non trovatagli addosso. “Difficile”, riferisce Camerano”, stare dietro ai rumeni, uomini dalla scaltra e frequente mobilità”. Perfettamente inserito nell’ambiente est-europeo anche Colalè, padronissimo della lingua, arrestato proprio mentre scendeva da un pullman di ritorno da uno dei tanti viaggi in Romania. Gli altri italiani coinvolti, il pugliese Francesco Palumbo, il pescarese Fernando Forcella, e il lancianese Consiglio Toscano, erano direttamente a servizio per la banda di Ciobanu come “galoppino”. Fac-totum di piccolo conto anche l’anello di congiunzione tra le tre squadre: il 24enne Daniel Birsan, ragazzo che per 30 euro al giorno correva in bicicletta dal primo che lo chiamava al telefono, per rifornire le prostitute in strada di viveri, bevande e preservativi, o per riferire ai capi quando le ragazze venivano condotte in questura.

Un’organizzazione dettagliata, ma soprattutto spietata, “Che non guarda in faccia a nessuno”, chiosa Pier Francesco Muriana: tra le tante donne coinvolte, infatti, venivano costrette a vendersi anche 3 donne in stato di gravidanza. Donne che, a parte quelle individuate come “caporali” sfruttatrici, non hanno subito provvedimenti di custodia cautelare; per le altre è stato invece elevato l’arresto domiciliare o il divieto di dimora. Diciannove gli ordini di arresto inoltrati finora, ancora in corso in un’operazione che ha coinvolto circa 150 agenti delle questure di Pescara, Bari, Chieti e Teramo. Un’indagine estesa anche in altre regione e sul territorio estero, sul quale il servizio Interpol sta operando per rintracciare soggetti al momento latitanti.

 

Destinatari della misura cautelare in carcere:

1. MOFLIC Valentin, detto Vali, rumeno, classe 1986;

2. REGEP Osman, detto Sebi o Biadin, rumeno, classe 1977;

3. VIRAG Vasile, detto signor Vali, rumeno, classe 1962;

4. OROS Cristian Sebastian, detto Sebi, rumeno, classe 1986;

  1. BIRSAN Daniel Geani,  rumeno, classe 1987;
  2. FETCO Ioan, rumeno, classe 1963;
  3. CIOBANU Ioan, detto Goe, rumeno, classe 1952;
  4. HOLBAN Alexandru, rumeno, classe 1990;
  5. MEMETALI Geilan, rumeno, classe 1971;

10.  COLALE’ Michele, nato a Pescara nel 1977 e residente a Francavilla Al Mare (CH);

11.  O. R. rumeno, minorenne.

destinatari degli arresti domiciliari

12.  STAN Anisoara, detta Marina, rumena, classe 1980;

13.  PALUMBO Francesco nato Orsara di Puglia (FG) nel 1953 e domiciliato a Francavilla al Mare (CH);

14.  FORCELLA Fernando, nato a Pescara nel 1961 e residente a Montesilvano (PE);

15.  TOSCANO Consiglio, nato a Lanciano (CH) nel 1974 e residente a Francavilla Al Mare (CH);

destinatari del divieto di dimora

16.  CUJBA Florentina, detta Flori, rumena, classe 1992;

17.  MARKI Ioana Mihaela, rumena, classe 1980;

 

Daniele Galli

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