Pescara, il testamento biologico e la vita di Eluana Englaro: storia di un vuoto legislativo permanente

Pescara. E’ ancora vuoto legislativo in Parlamento sul testamento biologico e anche sulla possibilità, da parte di un soggetto perfettamente in grado di intendere e di volere, di designare una persona che faccia da portavoce della volontà, in caso di sopraggiunto stato vegetativo permanente, di non essere dipendente dall’alimentazione e idratazione indotta dalle cure sanitarie, “che compiono cose eccelse, ma che possono creare delle condizioni che per molte persone sono peggio della morte”.

Così Beppino Englaro ha parlato degli interventi di rianimazione, o meglio, dell’ ‘accanimento terapeutico’, espressione ormai entrata nel linguaggio comune quando si pensa alla nota vicenda di Eluana, che ha sollevato la questione sulla mancanza di tutele legali a quei cittadini che, consapevolmente e liberamente , scelgono di non voler vegetare attaccati ad un sondino naso-gastrico qualora si verificassero tali condizioni.

A questo proposito, va specificato che “lo stato vegetativo non è irreversibile fino ad un certo periodo di tempo”, come ha sostenuto Rossana D’Amico, coordinatrice dell’Hospice Pescara, intervenuta nel corso del dibattito sul testamento biologico svoltosi ieri, presso la Sala consiliare del Comune, “ma se questo stato persiste per mesi, o per un anno, diventa permanente”. Non si ritorna più coscienti di sé e dell’ambiente, quindi: il gesto dell’aprire e chiudere gli occhi, normalmente compiuto in modo ‘meccanico’ dai pazienti che versano in un permanente stato vegetativo, non indica la loro consapevolezza e percezione della realtà circostante.

L’esperienza di Eluana Englaro, vittima di un incidente stradale nel 1992 e poi rimasta per 17 anni in stato vegetativo, ha messo in luce fino a che punto la libertà decisionale di una persona sul proprio corpo e sulle proprie scelte possa essere difficile da far valere, ma anche solo da spiegare : eppure, a chi come Eluana è vissuto sempre “senza il tabù della morte”, come più volte sottolineato dal suo papà Beppino, è la cosa più normale e semplice del mondo.

“Eluana non aveva il tabù della morte, bensì quello della profanazione del suo corpo e della sua volontà: aveva il tabù di cadere nelle mani altrui e dipendere dalle mani altrui”, ha specificato suo padre, raccontando come esattamente un anno prima che Eluana si trovasse in quello stato, un incidente stradale era capitato ad un amico di lei, Alessandro, rimasto per diverso tempo in condizioni analoghe a quelle di Eluana e poi morto. “Vedendolo in quello stato e conoscendolo bene, lui che veniva soprannominato dagli amici ‘furia’, Eluana pregava affinchè Alessandro morisse” ha spiegato Beppino Englaro.

“Tramite l’esperienza di Alessandro, Eluana ha potuto percepire fino a che punto si può spingere la rianimazione: che pur facendo delle cose eccelse, è a favore della non-morte fisica, non a favore della persona, nella sua interezza”.

Ha impiegato più di 15 anni, Beppino Englaro, per far si che le opinioni e la volontà di sua figlia Eluana fossero ascoltate, capite e rispettate: la lunga vicenda giudiziaria che ha intrapreso, a cominciare dalla Procura della Repubblica di Lecco e fino a diventare un vero e proprio caso di cronaca nazionale e di opinione pubblica, ha ottenuto il riconoscimento da parte della Corte di Cassazione, che con sentenza datata 11 novembre 2008 sancisce che l’autodeterminazione terapeutica non può incontrare un limite e soprattutto specifica che questa non ha nulla a che vedere con l’eutanasia, con la quale spesso viene erroneamente confusa.

Resta il vuoto politico in Parlamento: di fatto, ad oggi manca una legge nazionale che tuteli il diritto al rifiuto delle cure. Si cerca di colmare tale vuoto in ambito locale: in Italia diversi Comuni si sono dotati del Registro delle Disposizioni anticipate di trattamento (Dat), dove è possibile indicare il proprio rifiuto alla somministrazione di interventi sanitari che prolunghino il mantenimento dello stato vegetativo, ove questo persiste.

A Pescara la proposta di istituire il Registro Dat, arrivata da Sel, è stata bocciata in Consiglio comunale lo scorso marzo. “E il governo è lontanissimo dal regolare una materia di questo tipo”, ha affermato il deputato Sel, Gianni Melilla, che ha inoltre sottolineato l’ostracismo politico perpetrato, quando non addirittura il palese disprezzo espresso nei confronti dello stesso Beppino Englaro da parte di “noti esponenti della politica italiana”: a questo proposito, particolarmente degno di nota è il ddl varato da Berlusconi nel 2009, che impediva l’interruzione del sondino naso-gastrico somministrato ad Eluana e provocò un’aperta rottura con l’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che rifiutò di firmare quel ddl, ritenendolo “contrario all’art. 32 della Costituzione italiana”.

Da ricercare i motivi dell’esistenza di questo vuoto legislativo che permane.

L’ipotesi di una possibile ingerenza del Vaticano sembra ormai anacronistica a Daniela Santroni, capogruppo di Sel al Consiglio comunale, intervenuta durante il dibattito di ieri, promosso dai coordinamenti comunale e provinciale di Sel, rispettivamente guidati da Roberto Ettorre e Daniele Licheri, anche loro intervenuti all’incontro con Beppino Englaro, che contro questo vuoto legislativo ha lottato per 15 anni: lo ha fatto affinchè sua figlia Eluana non fosse “una vittima sacrificale della scienza”.

E ha affermato “Il grande ‘grazie’ va a questa ragazza, per essere esattamente così com’era: noi l’abbiamo rispettata per 21 anni e anche gli altri dovevano farlo, punto. Su questo non abbiamo dato scampo a nessuno”.

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