Pescara, Melilla sulla Fondazione Di Persio “Perché ostacolare il progetto?”

Pescara. Che la cultura sia da più parti bistrattata, non è una novità.

Ma quando diventa oggetto di un contenzioso, aperto nel 2011 e concluso a marzo 2014, con sentenza del Consiglio di Stato, è impossibile non interrogarsi a fondo in proposito.

Un’interrogazione all’indirizzo della Soprintendenza dei Beni architettonici e paesaggistici della Regione Abruzzo è stata inoltrata da Gianni Melilla, deputato Sel, sul vincolo posto dalla stessa Sbap al progetto di ristrutturazione di quel palazzo ormai decadente, situato in viale D’Annunzio, che fu sede della Banca d’Italia prima e della Cassa di Risparmio poi.

Acquistato dal costruttore Venceslao Di Persio, ex presidente della 3G Spa, la società di Call center del deputato di Forza Italia, Sabatino Aracu, nonché collezionista di costose opere ottocentesche italiane e francesi (De Nittis e Courbet sono due delle firme poste sotto alle decine di tele acquistate da Di Persio e dalla moglie, Rosanna Pallotta), il palazzo, progettato nel 1925 da un ignoto architetto, doveva essere adibito a Fondazione, un museo cittadino affinché le opere reperite in tutto il mondo dai coniugi Di Persio e lungamente corteggiate dal Museo d’Orsay (Parigi) restino a Pescara, dove lo scorso dicembre sono state anche visionate dal critico d’arte, Vittorio Sgarbi.

“I proprietari di questa collezione vogliono realizzare a loro spese il Museo e hanno acquistato il palazzo ormai fatiscente che ospitava la ex Banca d’Italia a Pescara in Viale Gabriele D’Annunzio per ristrutturarlo secondo le normative urbanistiche in vigore” ha scritto Melilla nella sua interrogazione.

“Le istituzioni locali, a partire dal Comune di Pescara, plaudono alla iniziativa per gli evidenti riflessi culturali ed anche economici e turistici; ma da anni la Soprintendenza per i Beni Storici e Architettonici della Regione Abruzzo frappone ostacoli incredibili, opponendo il suo diniego alla ristrutturazione di un palazzo rispetto ad un elemento del tutto secondario: il cavèdio che insiste all’interno di questo palazzo di stile eclettico, costruito nel 1925, di ignoto progettista, sinora adibito ad uso bancario, per ultima la Cassa di Risparmio”.

Il cavèdio a cui la Sbap della Regione fa riferimento nel ricorso in appello al Consiglio di Stato, accolto nel marzo del 2014, è un’area aperta che si trova dentro al palazzo e la sua eliminazione comporta la rimozione di parte delle mura interne all’edificio, dichiarato “Oggetto d’interesse culturale” da un decreto della Soprintendenza emanato il 19 luglio 2011, praticamente pochi giorni dopo che Di Persio aveva presentato al Comune il progetto di ristrutturazione del palazzo.

“All’esterno il progetto di ristrutturazione non prevede nessuna modifica” ha proseguito Melilla. “La guerra giudiziaria che si è aperta ha determinato sinora il blocco del progetto del nuovo museo, con vivo disappunto della comunità e delle istituzioni pescaresi e abruzzesi( il TAR ha dato ragione ai collezionisti mentre il Consiglio di Stato ha accolto la posizione della Soprintendenza che sostiene che il cavèdio è un cortile interno e dunque non può essere rimosso, impedendo così la realizzazione dello spazio museale); sarebbe razionale che la Soprintendenza, attraverso uno studio accurato, potesse riconsiderare il suo parere attivando una misura di autotutela circa la valutazione tecnica data sul presunto valore del cavèdio interno”.

Nella sua interrogazione, Melilla chiede “quali sono le ragioni di questa posizione della Soprintendenza, che appare irragionevole e immotivata, sul piano storico e tecnico, se non si intenda riconsiderare la vicenda, favorendo e non ostacolando la nascita di una nuovo Museo nella città di Pescara di sicura valenza nazionale senza alcun costo per la finanza pubblica; perché un ufficio regionale del Ministero dei beni ed attività culturali assuma scelte così disinvolte, assumendosi nei fatti la responsabilità di non volere istituire un nuovo Museo a Pescara”.

Con una nota stampa dello scorso 17 febbraio, la Sbap della Regione Abruzzo aveva comunicato quanto segue “Con sentenza del Consiglio di Stato del marzo 2014 l’appello è stato accolto, e pertanto ad oggi quel decreto esplica pienamente la sua efficacia, e nè il Soprintendente nè il Direttore Regionale hanno il potere di annularlo”.

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