Pescara, business sugli animali domestici: due storie e tanti punti interrogativi

Pescara. Il Governo Monti già ci aveva provato ad introdurre la tassa sugli animali domestici, classificandoli come ‘beni di lusso’. Come se si trattasse di una barca o di un’auto sportiva di grossa cilindrata. Come se chi vive con un coinquilino a quattro zampe fosse necessariamente in possesso di risorse economiche tali da giustificare anche il business che ruota intorno agli animali.

Questa è la storia di una gattina randagia, trovata sull’asse attrezzato di Pescara, dai volontari dell’Oipa in piena notte, alle ore 23:00: piccola, con un trauma polmonare dovuto al colpo subito da un’automobile e con sangue nelle urine; la gattina, però, decide di vivere lo stesso. Viene trasportata in una clinica pescarese, l’unico centro medico chirurgico per animali in Abruzzo, che è dotato di Pronto Soccorso h 24, proprio come un ospedale: l’unica clinica attiva per le emergenze notturne.

La gattina, trasportata in clinica subito dopo essere stata trovata, viene ricoverata dalla struttura; i volontari dell’Oipa si attivano immediatamente per cercarle una casa che la adotti e la trovano subito: la micia sarà infatti adottata da tre ragazze, che lo scorso 2 luglio la portano a casa, “in buone condizioni cliniche”, come riporta il foglio di dimissioni rilasciato dalla Clinica; tra le indicazioni da seguire, il foglio di dimissioni cita “in caso di abbattimento, anoressia, vomito, difficoltà della respirazione, si consiglia di contattare prontamente i medici della struttura”.

Pochi giorni dopo l’adozione della gattina, puntualissimi, si presentano sintomi di malessere della micia, che viene immediatamente riportata nella Clinica, per capire cosa avesse. “Si consiglia ricovero ed accertamenti diagnostici” riporta il foglio di visita generale emesso lo scorso 8 luglio, data del nuovo ricovero della trovatella. L’ipotesi diagnostica riportata è “Sindrome gastroenterica di sospetta natura infettiva”; i medici della struttura, non ancora certi di una diagnosi definitiva, avrebbero affermato che “Incrociando i sintomi presentati dalla gattina, si sospetta un parvovirus”.

Il parvovirus è molto frequente nei cuccioli di gatto e cane non vaccinati ed è trasmissibile solo ed esclusivamente tramite feci ed urine di animali infetti: quindi la gattina, se anche avesse presentato un’infezione da parvovirus, di certo non avrebbe potuto contrarla nella casa in cui era stata per pochi giorni, data l’assenza di altri animali; se il parvovirus era presente, doveva averlo contratto prima della sua dimissione in cui sono state riferite “buone condizioni cliniche”.

Subito dopo aver esposto la diagnosi sospetta ma non certa, alle ragazze viene presentato il preventivo della Clinica: fino a quel momento, il totale ammontava a 126 euro e, insieme alla gattina ricoverata, era necessario lasciare un acconto di 50 euro. Viene pagato l’acconto e pare che i medici della struttura abbiano detto alle adottanti che la gattina necessitava di essere trattenuta per altre analisi.

Il giorno dopo, stessa storia: la micia dà pochi segni di ripresa, non è ancora accertato se sia affetta o meno da parvovirus e il preventivo viene nuovamente aggiornato: ricovero gatto base, emogasanalisi venoso, esame coprologico, emocromo interno, totale 136 euro; c’è da aggiungere che il prezzo preventivato sarebbe stato anche di favore, poiché, stando a quanto avrebbero detto i medici della struttura, le fortunate adottanti avrebbero beneficiato dello ‘sconto Oipa’ del 20%: e menomale!.

Le ragazze, al momento dell’aggiornamento del preventivo, non disponevano di quella cifra, ma la gattina stava ancora molto male e non poteva assolutamente essere dimessa dalla Clinica: dopotutto, col presunto parvovirus non si scherza. Alle tre donne, però, è sembrato molto strano che una gattina, adottata lo scorso 2 luglio in “buone condizioni cliniche”, presenti l’8 luglio proprio tutti i sintomi descritti in quelle “indicazioni da seguire” contenute nel foglio di dimissioni, dove si legge anche l’esortazione a “contattare prontamente i medici della struttura”, qualora insorgessero quei sintomi.

Tirando le somme: 50 euro di acconto pagato, più 136 euro da pagare, in totale fanno 186 euro; tutto questo, per un giorno e mezzo di ricovero, nessun miglioramento della micia, ma soprattutto senza una diagnosi certa di patologia, che sia essa parvovirus o altro parassita infettante di cuccioli trovatelli.

Le ragazze, poco convinte della piega che stava prendendo la vicenda, si recano alla clinica per riprendersi la micia, con l’obiettivo di farla visitare da un altro veterinario; inoltre, hanno ritenuto di non dover pagare la restante parte relativa ad esami che non avevano ancora prodotto un quadro diagnostico della patologia; il preventivo, che è stato comunque firmato, sarebbe stato presentato dai medici nel momento in cui questi sostenevano di non potersi pronunciare sulle aspettative di vita della gattina.

Micia, che, in buona sostanza, visitata da un altro veterinario, è risultata non sverminata: la pancia, infatti, risultata essere piena di ascaridi; non di parvovirus, quindi, ma di ascaridi, che sono i classici parassiti trasmissibili ai cuccioli tramite gravidanza e allattamento della madre: la pratica della sverminazione è la primissima prassi d’igiene sanitaria, fondamentale, soprattutto prima che questo cucciolo venga adottato; il minimo che ci si aspetterebbe da una struttura clinica che collabora con l’Oipa.

Tanti i punti interrogativi: ci si chiede come mai una Clinica che collabora con un’associazione animalista del Comune di Pescara non abbia effettuato una pratica così fondamentale come la sverminazione; soprattutto ci si chiede come mai l’Oipa, ma anche il canile di Pescara, affidino cuccioli o indirizzino adottanti presso una struttura sul conto della quale più di uno ha storie da raccontare.

E’ il caso di una cagnetta prelevata quattro anni fa dal canile di Pescara da parte di una giovane coppia. La cucciola venne ricoverata nella stessa struttura pescarese un mese dopo essere stata portata a casa. In quell’occasione, coincidenza volle che una banale stitichezza della cagnetta si fosse presentata contemporaneamente alla scomparsa del braccialetto della sua padrona, la quale, non avendo mai avuto cuccioli di cani prima, subito temette che la cucciola potesse aver ingerito il braccialetto e che fosse quella la causa del suo forte mal di pancia.

Su consiglio del canile di Pescara, la cagnetta fu prontamente ricoverata nella Clinica: col pancino dolorante, fu sottoposta a diverse ecografie, dalle quali si sarebbe evidenziata una presunta occlusione dell’ultima parte dell’intestino. “Potrebbe essere metallo”, sembra sia stato detto ai proprietari della cucciola, ai quali è stato consegnato un cd contenente l’ecografia e, subito dopo presentato un preventivo che ammonterebbe a 400 euro.

Sempre la coincidenza volle che il braccialetto smarrito fu ritrovato il giorno dopo: era sotto al letto.
Simile al precedente l’epilogo: i proprietari vanno a riprendersi la cucciola e la portano da un altro veterinario, che provvede a curarle la stipsi.

Tra i tanti punti interrogativi che queste vicende sollevano riguardo a questa clinica pescarese, la certezza sembra essere una: esistono un paio di veterinari per i quali un animale domestico, indipendentemente dal fatto che abbia o meno il pedigree, sia un bene di cui aver cura, non su cui fare business.

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