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Edimo L’Aquila, Riesame annulla divieto di praticare attività imprenditoriali per Taddei

L’Aquila. Nell’accogliere l’appello cautelare, non trovando gravi elementi di colpevolezza, il tribunale del Riesame dell’Aquila ha annullato il divieto di esercitare attività professionali o imprenditoriali per 6 mesi nei confronti di Carlo e Danilo Taddei, rispettivamente patron del Gruppo Edimo dell’Aquila ed ex amministratore unico della controllata Taddei Spa, dimissionario lo scorso marzo proprio in seguito alla misura cautelare ricevuta a titolo personale dall’autorità giudiziaria.

Le misure erano state applicate nell’ambito dell’indagine coordinata dalla direzione distrettuale antimafia aquilana e svolta dai Carabinieri del capoluogo su fenomeni di caporalato nella ricostruzione post-terremoto 2009, da cui, comunque, tanto la società Taddei quanto il gruppo nel complesso sono esclusi.

“Una prima buona notizia che conferma il buon nome dell’azienda e di coloro che l’hanno gestita – commenta Marco Di Paola, attuale amministratore della Taddei Spa – Continuiamo nell’attività di rafforzamento dell’attività imprenditoriale e di rafforzamento delle procedure di controllo e organizzazione aziendale, sempre con fiducia che l’attività della magistratura sgombrerà il campo da ogni ombra nei confronti di questa società”.

L’ordinanza è stata emessa dai giudici Anna Maria Tracanna (presidente), Mario Cervellino (estensore) e Maurizio Sacco (giudice). Carlo e Danilo Taddei sono assistiti dall’avvocato Paolo Gemelli del foro di Roma.

Secondo i giudici, “non emergono, dal pur cospicuo materiale indiziario, elementi gravi atti a comprovare, nei necessari termini di elevata probabilità, la piena coscienza da parte degli stessi di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie penale in esame”.

Inoltre, “non vi sono comprovati contatti” tra la famiglia Taddei e il subappaltatore coinvolto nell’inchiesta, uno dei circa 300 utilizzati dal gruppo nell’ambito delle commesse pubbliche e private e di ricostruzione post-terremoto 2009, “né riscontri della diretta pianificazione e organizzazione da parte degli indagati delle azioni di reclutamento e sfruttamento della manodopera”.

Anche la presenza di altre fattispecie ipotizzate, secondo il giudice, “non legittima, autonomamente, l’imposizione di alcuna misura personale”.