Casoli, al Palazzo Tilli la presentazione dell libro di Giuseppe Lorentini

Casoli. Domenica 23 giugno 2019, alle ore 18:00, a Casoli, presso le Cantine di Palazzo Tilli, verrà presentato il libro di Giuseppe Lorentini “L’ozio coatto. Storia sociale del campo di concentramento fascista di Casoli (1940-1944)”, appena uscito per l’editore Ombre Corte di Verona.L’incontro, moderato dalla giornalista Maria Rosaria La Morgia, è patrocinato dalla Provincia di Chieti, dal Comune di Casoli, dal MiBAC, dall’UCEI, dal Sentiero della Libertà e dall’Anpi. Dopo i saluti istituzionali, ne parleranno con l’autore lo storico Manuele Gianfrancesco, Vincenza Iossa, della Biblioteca “Luigi De Gregori” di Roma e Stefan Laffin, dell’Università di Bielefeld.

Giuseppe Lorentini è ideatore e responsabile curatore del Centro di documentazione on line sul campo di concentramento fascista di Casoli (1940-1944), www.campocasoli.org.Questo suo lavoro ricostruisce le vicende del campo di concentramento fascista di Casoli, attivo dal 1940 al 1944. Si tratta di un libro necessario, come altri che negli ultimi anni stanno restituendo verità scomode e per troppo tempo taciute, in Italia più che altrove. I campi di internamento e di concentramento fascisti sono stati per decenni ignorati come oggetto di studio, sminuiti nella loro centralità e importanza nella politica di repressione della dissidenza e persecuzione di coloro che, per un motivo o per un altro, erano considerati scomodi, pericolosi o etnicamente inferiori. L’autore ha compiuto le sue ricerche nell’Archivio del comune, ma inserendo i risultati dei suoi studi in un contesto più ampio, che giunge fino alla Germania, alla Polonia, alla Jugoslavia, luoghi di provenienza e di destinazione finale degli internati del campo di Casoli.

Il testo è strutturato in modo solido e rigoroso: dopo una prima parte di taglio teorico, che chiarisce la definizione del concetto di “campo di concentramento” e la sua applicabilità alle procedure di internamento civile nell’Italia fascista, e dopo avere, nel secondo capitolo, ricostruito la normativa e la regolamentazione dei campi, e individuato le categorie via via colpite dal provvedimento di internamento, la seconda metà del libro si occupa in particolare del campo fascista di Casoli, utilizzato dal 1940 al 1944. Amministrazione, gestione, organizzazione nel terzo capitolo; arresto, internamento e vita quotidiana nel campo, nel quarto e ultimo capitolo, forse il più interessante per i lettori non specialisti proprio perché restituisce l’umanità, non solo degli internati ma anche degli abitanti del paese, che in vario modo e a vario titolo interagivano con gli “ospiti”.

Nel campo si avvicendarono in quegli anni due gruppi di detenuti: agli “ebrei stranieri”, poco più di una cinquantina, presenti dal 9 luglio 1940 al 3 maggio 1942 e poi trasferiti nel campo di Campagna in provincia di Salerno, succedono il 5 maggio 1942 gli “internati politici” provenienti quasi tutti dai territori jugoslavi occupati dalle truppe italiane. Si tratta di sospetti antifascisti, “elementi indesiderabili” che infastidivano la politica fascista di occupazione. Per loro, che arrivano in condizioni di estrema povertà, le condizioni si rivelano più dure e l’”ozio coatto” più insopportabile, tanto che in diversi pregano la direzione del campo di essere impiegati in qualche lavoro o occupazione, non riuscendo ad adattarsi a un’inerzia umiliante e inspiegabile. Non manca qualche tentativo di ribellione finito male, lettere struggenti non recapitate da una cieca disumana burocrazia, tutto il repertorio di soprusi che accompagna l’esecuzione di provvedimenti arbitrari e iniqui nei confronti di civili inermi.

Ed è la parte conclusiva, forse, con i dati nudi e crudi, la schedatura nome per nome di tutti coloro, “ebrei stranieri” e “internati politici”, che sono passati nel campo di Casoli, a dare il senso dell’ingiustizia connaturata all’essenza stessa del campo di concentramento: due gruppi di individui diversi per età, provenienza e collocazione socialeche si ritrovano a essere privati della libertà personale, degli affetti e dei beni senza aver commesso alcun crimine, solo per l’origine etnica o le opinioni politiche. La disumanità del totalitarismo è tutta qui, e il saggio di Lorentini, con la sobrietà e asciuttezza dello stile e il rigore del metodo, ce la consegna intatta nella sua meschina brutalità.

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