La cronaca e un nuovo sguardo sulla criminalità: incontro a Chieti con De Raho, Forte, Legnini e Maria Falcone

Chieti. Guardare la criminalità con occhi nuovi avendo il coraggio di scavare nelle vite e negli ambienti dei “mostri” da prima pagina senza indulgenza, ma seguendo il bisogno di avviare quel cambiamento culturale che ne mini le fondamenta.

 Il libro-inchiesta sarà spunto di riflessione venerdì 8 giugno, durante l’incontro formativo che si terrà presso l’Aula Magna del Rettorato dell’Università d’Annunzio a partire dalle ore 16, alla presenza degli autori, dell’Arcivescovo dell’Arcidiocesi Chieti Vasco Mons. Bruno Forte, del Procuratore Antimafia Federico Cafiero De Rhao e del Vicepresidente del Csm Giovanni Legnini.

 E’ partito dalla Sicilia e arriva ora in Abruzzo il messaggio lanciato dai giornalisti perché si inizia a parlare di giustizia e pena con occhi diversi. Se la Sicilia è la terra dove la criminalità ha scritto alcune delle pagine più nere della cronaca italiana, l’Abruzzo è quella da dove quel messaggio per cui si diventi “cronisti di speranza” è stato messo nero su bianco nel libro-inchiesta “La Speranza Oltre le Sbarre” scritto a quattro mani dalla giornalista Rai Angela Trentini e il teologo sistematico Maurizio Gronchi.

 Libro che sarà lo spunto di riflessione dell’incontro formativo che si terrà venerdì 8 giugno a Chieti alla presenza, tra gli altri, dell’Arcivescovo Monsignor Bruno Forte, del Procuratore Antimafia Federico Cafiero De Rhao e del vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, e nel corso del quale sarà proiettato il videomessaggio inviato ai giornalisti da una delle “vittime” della mafia siciliana: Maria Falcone, sorella di Giovanni Falcone. Vittima anche lei, come i parenti di tutti coloro che la criminalità ha ucciso, di una visione culturale che va ribaltata e capace, come ha lei stesso affermato nell’incontro palermitano, di non odiare gli assassini di suo fratello e di essere pronta a perdonarli se, e solo se, tale richiesta venisse da una reale e convinta redenzione interiore.

 Ed è proprio il lato umano degli assassini quello di cui la cronaca deve occuparsi al di là dell’innegabile orrore e del male che i loro gesti sono capaci di realizzare. Per la prima volta, quindi, alcuni degli assassini dei giudici Falcone, Borsellino e Livatino, attualmente reclusi in regime di 41 bis del carcere di Sulmona, parlano in un libro-inchiesta che non chiede alcuna indulgenza, ma che apre ad una riflessione profonda attraverso il confronto con i parenti delle vittime, andando ad indagare gli aspetti umani e sociali che, ancora oggi, sono l’elemento di scelte che, per alcuni di loro, sembrano quasi “obbligate”. Quella realtà sociale che ancora oggi, da dietro le sbarre, fa dire a Domenico Ganci, , figlio del boss Raffaele Ganci che proprio degli omicidi di Falcone e Borsellino fu uno dei mandanti, queste parole: “giudico la mia coscienza ‘pulita’ – afferma – perché ho inseguito tutto ciò che ho visto fare dai miei genitori. Ciò che per loro era giusto lo era e lo è ancora per me”.

 Dovere di un cronista, oggi, è dunque anche quello di raccontare i risvolti umani della vita degli assassini, non per giustificarli, ma perché si conoscano le ragioni di scelte tanto scellerate e anche quelle figure, alcune delle quali fortemente presenti nel libro, che se avessero potuto avere un’influenza maggiore nelle loro vite, li avrebbero probabilmente condotti verso esistenze totalmente differenti.

 “La Speranza Oltre le Sbarre” è uscito non a caso il 10 maggio. Il giorno successivo alla pubblicazione della lettera dei Vescovi di Sicilia che, 25 anni dopo, ha voluto ricordare quel “Convertitevi” urlato da Papa Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi di Agrigento. Una lettera in cui si ricordano, tra l’altro, le sue parole pronunciate due anni dopo: “la mafia – affermò il 22 giugno 1995 – è generata da una società spiritualmente incapace di riconoscere la ricchezza della quale il popolo siciliano è portatore”. Un vero e proprio deficit culturale, scrivono i vescovi, che va affrontato, dunque, con l’educazione alla giustizia e la misericordia.

 Un passaggio, questo, in cui il libro si inserisce perfettamente. Nessuno scoop né perdonismo, ma un’approfondita analisi introspettiva dei condannati che scava a fondo in quelle problematicità che possono essere risolte solo e soltanto attraverso un profondo cambiamento culturale. Una visione che Fiammetta Borsellino ha voluto vivere in prima persona incontrando in carcere due dei killer di suo padre: Filippo e Giuseppe Graviano: “un percorso che intendo continuare – ha affermato – perché è importante sia per me che per loro”.

 “Dal libro emerge come troppe volte – afferma il Vescovo Mons. Bruno Forte – si sia voluta più una giustizia vendicativa che non una pena riabilitativa, tale cioè da condannare con fermezza il male, ma al tempo stesso offrire a chi lo ha commesso la possibilità di prenderne coscienza, di aprirsi a percorsi di pentimento e di nutrire, nonostante tutto, una speranza per il suo futuro”. Il cambiamento culturale che auspicava già Giovanni Paolo II e che oggi è messaggio di Papa Francesco può avvenire soltanto se si è pronti ad “accompagnare il colpevole a prendere coscienza delle radici del male compiuto – aggiunge Forte – e a rifiutarle per dare nuovo senso alla vita e alle azioni è quanto di più importante e utile deve fare la giustizia in una società fondata sul diritto e sulla dignità della persona”, citando una delle frasi dei detenuti intervistati dalla Trentini: Non cerco sconti chiedo soltanto di essere accolto e accompagnato”.

 Ne “La Spreanza oltre le Sbarre” si rompe dunque il silenzio di quei “vuoti a perdere – sottolinea Gronchi – condannati a vivere lo stesso giorno all’infinito, ad abitare e a condividere una dimensione in cui drammi e miserie collettive, convivono con desideri e speranze individuali di riscatto”. Un riscatto che non è solo il loro, ma che “riguarda ognuno di noi”.

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