Cos’è il TTIP e perché dovremmo saperlo

Ttip, una sigla che solo da pochi mesi è alla ribalta delle cronache ma nelle stanze che contano è nota da anni. Ecco di cosa si tratta.

Il trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti, meglio noto come TTIP, è un colossale accordo commerciale che è in corso di negoziazione tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Gli obiettivi principali dell’accordo sono:

  • realizzare il libero scambio di merci, servizi e investimenti tra le due sponde dell’Atlantico
  • uniformare le norme commerciali in maniera da abbattere le differenze non legate ai dazi
  • ottimizzare e migliorare le normative di riferimento

Apparentemente non si tratta di un argomento troppo interessante per i comuni cittadini, tuttavia le poche informazioni trapelate (la trattativa sul TTIP è segreta), allungano ombre inquietanti sui rischi che il trattato potrebbe comportare per i cittadini europei, in particolare sulla possibilità che gli interessi legittimi delle singole nazioni vengano a trovarsi in posizione subalterna rispetto a quelli delle grandi multinazionali.

La questione delle ISDS

La lista delle contestazioni al TTIP è lunga ma una delle questioni più discusse è quella della clausola ISDS, Investor State Dispute Settlement. La clausola prevede, nel caso in cui un investitore straniero ritenga di essere danneggiato da una norma di legge dello stato in cui investe, la possibilità per l’investitore di rivolgersi ad un tribunale terzo, generalmente una corte arbitrale commerciale, perché risolva la disputa.

Tale possibiltà per l’investitore pone tre ordini di problemi:

  • la possibilità di ricorrere all’arbitrato è a senso unico; l’investitore può trascinare una nazione in un arbitrato ma il contrario non è invece possibile, ne per le singole nazioni, ne tanto meno per i singoli cittadini
  • lo stato sottoscrittore di una clausola ISDS, riduce in maniera significativi la propria autonomia decisionale per quello che riguarda materie fondamentali come: sanità, ambiente e diritti dei lavoratori
  • le corti che dovrebbero risolvere eventuali dispute sfuggono a qualsivoglia controllo pubblico e democratico; le corti di arbitrato commerciale infatti sono dei tribunali privati composti da tre membri, scelti di volta in volta in una ristretta cerchia di avvocati privati

In buona sostanza, un governo democraticamente eletto potrebbe decidere di non migliorare il proprio ordinamento e con esso le condizioni di vita dei propri cittadini, se tale innovazione potrebbe esporlo al risarcimento dei danni nei confronti di una qualche multinazionale.

A titolo di esempio a proposito delle clausole ISDS, è indicativo quanto accaduto in Germania alcuni anni fa. Poco dopo gli avvenimenti di Fukushima, nel 2011, il governo tedesco decise di rivedere la propria politica energetica e in nome della salvaguardia dell’ambiente in generale e della salute dei cittadini in particolare, decise di ritirare la licenza ad otto impianti nucleari. Due degli impianti oggetto del ritiro della licenza erano di proprietà della svedese Vattenfall che, in forza di una clausola ISDS, ha trascinato il governo di Berlino in un arbitrato dove, stando alle indiscrezioni, l’azienda energetica svedese reclama dalla Germania una somma pari a 4.7 miliardi di euro.

Il no dei Francesi

Meno di due mesi fa, il 3 maggio, il presidente francese Francois Hollande ha pubblicamente manifestato la sua opposizione al TTIP, perlomeno nella sua forma attuale, dichiarando: “Noi non siamo per il libero scambio senza regole. Non accetteremo mai la messa in discussione dei principi essenziali per la nostra agricoltura, per la nostra cultura, per la reciprocità nell’accesso al mercato pubblico”.

Decisamente meno drastica la posizione del governo italiano che per bocca del primo ministro Matteo Renzi, qualche mese fa ha dichiarato: “Siamo favorevoli al trattato e spingiamo perché si concluda nel rispetto di alcune specificità”.

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