Coronavirus Abruzzo, 1 italiano su 2 deve sospendere le cure mediche

Con l’emergenza coronavirus più di 1 italiano su 2 (54%) ha dovuto rinunciare, sospendere o posticipare cure e terapie mediche e fisioterapiche, non legate al virus, che stava seguendo che o doveva iniziare prima che esplodesse la pandemia.

 

E’ quanto emerge dall’indagine Uecoop/Ixè sugli effetti che l’emergenza sta provocando ai livelli di assistenza nell’ultimo mese. Fra le persone colpite dal blocco delle prestazioni – spiega l’Unione europea delle cooperative – il 42% ha dovuto rinviare o cancellare visite mediche per altre patologie, mentre la restante parte ha visto slittare esami medici, terapie e cure. L’emergenza della guerra al coronavirus – evidenzia Uecoop – ha assorbito la maggior parte delle risorse e del personale medico e infermieristico pubblico e privato mobilitato per reggere il grande fronte del nord Italia e i focolai locali, più o meno estesi che si sono creati lungo la dorsale appenninica dalle Marche al Lazio, dalla Toscana alla Puglia, dalla Campania alla Calabria fino alla Sicilia.

 

L’esigenza di convogliare tutte le forze sulla prima linea della pandemia ha di fatto congelato le prestazioni non considerate di estrema urgenza, ma necessarie soprattutto ai soggetti più deboli, dagli anziani ai disabili. Inoltre anche le limitazioni agli spostamenti e le misure di sicurezza che impongono il distanziamento fra le persone hanno condizionato lo svolgimento di esami, visite e terapie. Su oltre un milione di addetti del mondo cooperativo – spiega Uecoop – quasi 600mila sono schierati sul fronte dell’emergenza coronavirus con circa la metà impegnata direttamente nella cura di disabili e anziani, spesso senza le adeguate protezioni anti contagio utili per proteggere se stessi e le persone da assistere fra cui i 300mila nonni ricoverati nelle oltre 7mila case di riposo italiane, la metà dei quali proprio nelle zone dell’epicentro della pandemia, dalla Lombardia al Veneto, dal Piemonte all’Emilia Romagna fino alle Marche.

 

La situazione è molto pesante e costringe ormai a lavorare in condizioni estreme – denuncia Uecoop – anche per le difficoltà a recuperare mascherine e indumenti protettivi per il personale delle RSA. Nella guerra al coronavirus è fondamentale – evidenzia Uecoop – che gli operatori in servizio nelle case di riposo vengano dotati di tutti gli strumenti di protezione per tutelare sia la propria salute che quella degli anziani che devono accudire, la maggior parte dei quali sono non autosufficienti. Visto che il focolaio in una casa di riposo – continua Uecoop – può trasformarsi in un dramma per i nonni ricoverati, per i loro parenti e per gli stessi operatori socio sanitari che li seguono ogni giorno. Una situazione resa ancora più delicata – sottolinea Uecoop – dalla presenza di anziani non autosufficienti in più di 6 strutture su 10 e dal progressivo invecchiamento della popolazione con oltre 14mila ultracentenari e 13,8 milioni di over 65 che – evidenzia Uecoop – aumenteranno di 4 milioni entro i prossimi 15 anni con un balzo del 29% secondo un’elaborazione dell’Unione europea delle cooperative sull’ultimo report di Ubi Banca sulle RSA in Italia.

 

Uno scenario – conclude Uecoop – che impone di organizzare un sistema di welfare in grado di rispondere alla domanda di assistenza e servizi delle famiglie italiane potenziando la collaborazione fra il settore pubblico e quello privato per fare fronte anche a potenziali emergenze che possano mettere sotto stress l’intero sistema sanitario e minacciarne efficienza e funzionalità. L’assistenza dentro e fuori le residenze specializzate è un servizio strategico nazionale di importanza crescente in una prospettiva a medio termine in cui – conclude Uecoop – gli anziani cresceranno di numero sia nelle grandi città che nei piccoli centri urbani con network familiari in sempre maggiore difficoltà e una necessità di investimenti nel settore fra i 14 e i 24 miliardi di euro nei prossimi quindici anni per garantire posti letto e assistenza.

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