Caso Cucchi, i periti: morte per epilessia ipotesi più probabile

I periti del gip attribuiscono la morte del giovane ad un probabile attacco di epilessia. Il sindacato di polizia Coisp: “i familiari chiedano scusa”.

Svolta nell’inchiesta bis sul caso Cucchi, il giovane morto a Roma nel 2009, in seguito all’arresto per detenzione di droga. Secondo i periti nominati dal gip, si trattò di una “morte improvvisa ed inaspettata per epilessia in un uomo con patologia epilettica di durata pluriennale, in trattamento con farmaci anti-epilettici”; in realtà, gli stessi periti precisano che la vera causa del decesso è ignota e tra le due ipotesi che potrebbero spiegarlo, una frattura alla vertebra sacrale e un attacco epilettico, la seconda appare “più attendibile”.

Di diverso avviso la sorella di Stefano Cucchi, che in post su facebook ha scritto : “Il perito Introna tenta di scrivere la sentenza finale del processo per i responsabili del violentissimo pestaggio a mio fratello. Riconosce ‘bontà sua’ la frattura di L3 da noi per sette anni sostenuta e riconosciuta dai pm, poi alza una cortina di fumo dicendo che è impossibile determinare con certezza una causa di morte di Stefano”; al contrario, secondo la sorella del giovane, le fratture “sono la causa di morte da noi sempre sostenuta in questi anni, che a differenza dell’epilessia ha elementi oggettivi e riscontrati dagli stessi periti”.

La perizia è stata depositata nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Roma in cui sono indagati 5 carabinieri, tre per lesioni aggravate e abuso d’autorità e due per falsa testimonianza. Nonostante i periti abbiano messo nero su bianco che il giovane riportò delle fratture in seguito all’arresto, il segretario generale del sindacato di polizia Coisp, Franco Maccari, ha dichiarato in merito alla vicenda che “ aspettiamo le scuse da parte di tutti coloro che – familiari, giornalisti, politici e quant’altro – hanno sposato ad occhi chiusi la tesi dell’uccisione dell’uomo”.

La stessa richiesta proviene anche dal segretario del Sappe, Donato Capece, secondo il quale: “tutti coloro che formularono, mediaticamente e politicamente, accuse false e affrettate contro appartenenti al corpo di Polizia penitenziaria, senza peraltro avere alcuna prova che pure non poteva esserci, debbano farsi un serio esame di coscienza e avere la dignità di domandare scusa”.

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