Petrolio e turismo: il binomio (im)perfetto?

Trivellazioni-e-ricerca-idrocarburiNel corso degli ultimi tempi la coscienza politica della nostra regione è stata spaccata in due, a metà strada tra una filiera turistica più pubblicizzata che sviluppata e uno sciame di multinazionali petrolifere ormeggiate all’orizzonte, pronte ad estrarre tutto l’oro nero che giace sotto il nostro caro Abruzzo.

 A creare ancora più confusione c’hanno pensato dichiarazioni sibilline, articoli senza alcun fondamento scientifico, blog,  forum, manifestazioni e via dicendo. In questo marasma informativo è sempre più difficile capire quale sia la vera verità.A cercare di mettere un po’ d’ordine c’ha provato il Consiglio regionale dell’Abruzzo, che di recente ha approvato a maggioranza la risoluzione a firma dei consiglieri Claudio Ruffini (Partito democratico) e Cesare D’Alessandro (Italia dei valori) contro il permesso di ricerca petrolifero denominato “Villa Carbone” in provincia di Teramo. “Pretendiamo che il Presidente della Regione chieda al Governo nazionale una moratoria per l’Abruzzo – hanno tuonato i due politici –  ovvero una sospensione su tutti i permessi di ricerca in itinere e un altro tipo di sfruttamento: turismo e agricoltura ecosostenibile”. Il petrolio dunque esclude il turismo? Il ragionamento esposto dai consiglieri abruzzesi sembra essere abbastanza chiaro. Qualche giorno prima però, il Ministro dello Sviluppo Economico era intervenuto sullo stesso argomento, facendo chiarezza sul rapporto tra filiera petrolifera e attività turistica e demolendo il perfetto sillogismo No-Triv, secondo cui le trivellazioni ammazzerebbero il turismo. Nel corso di un’audizione presso la Commissione Territorio e ambiente del Senato, Flavio Zanonato ha dichiarato: “Il maggior numero di trivellazioni in mare si fa tra Rimini e Ravenna, dove c’è anche la maggior parte del turismo della costa Adriatica per cui non c’è necessariamente una contrapposizione fra i due aspetti”.Ovviamente il ministro parla con cognizione di causa e supporta la sua teoria con uno studio scientifico: secondo quanto rilevato dal R.I.E. (Ricerche Industriali ed Energetiche), l’Emilia Romagna ha quasi la metà del suo territorio interessata da attività di sviluppo degli idrocarburi; ciononostante, il territorio si classifica come quinta tra le regioni con maggior flusso turistico straniero col 6,2% del totale, concentrato proprio nelle coste prospicienti l’estrazione di gas naturale avviata oltre mezzo secolo fa. Da questa riflessione deriva che se la Regione Abruzzo non riesce a raggiungere i risultati dell’Emilia Romagna in materia di turismo, la responsabilità non è da attribuire alla presenza o meno di giacimenti petroliferi, bensì a una mancanza di spirito d’imprenditorialità di cui è carente non solo “la Regione verde d’Europa”, ma anche le altre Regioni del Sud Italia, dove sempre più giovani sono costretti ad andare via non più con la valigia di cartone e la locomotiva, ma stavolta con un biglietto solo andata di qualche compagnia low-cost.   Una situazione già nota Confesercenti-Ref, una delle tante associazioni che denuncia la presunta incompatibilità tra turismo ed industria petrolifera: secondo quanto emerso da uno studio sulla percezione che i turisti stranieri hanno dell’Italia, l’Abruzzo è ultimo nella classifica per l’arte e tra gli ultimi per quanto riguarda la qualità e disponibilità di informazioni. Ma allora perché vedere nel petrolio un nemico e non un valido alleato con cui poter racimolare i soldi necessari per investire in infrastrutture turistiche adeguate? Secondo uno studio realizzato da Confindustra Chieti, se in questo momento l’Abruzzo accettasse tutte le richieste avanzate da aziende per estrarre petrolio e gas, si genererebbero 1,4 miliardi di euro di investimenti totalmente privati e quindi aggiuntivi rispetto alle risorse pubbliche per lo sviluppo. Quanti stabilimenti balneari, ristoranti, pensioni, mostre d’arte e musei potrebbero essere finanziati con questi soldi? E soprattutto, quanti giovani abruzzesi eviterebbero di emigrare perché la loro terra offre poco e niente?Sarà la rabbia di un giovane precario italiano che mi fa scrivere e parlare, ma non si deve buttare al vento l’occasione di un possibile rilancio occupazionale. Sarebbe ingiusto verso una generazione che chiede risposte, sempre più incessantemente, a una classe politica paralizzata e una società intera che osserva inerme. FONTE: WWW.GOCCEDIVERITA.IT

 

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